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“O tu che stai nel tuo letto fra lenzuola di tela olandese, sdraiato della sera al mattino,

“Valorosissimo de’cavalieri che mai producesse la Mancia, più casto e più puro del fino oro d’Arabia;

“Ascolta una giovine innamorata mal corrisposta, che arde al raggio de’ tuoi due soli.

“Tu vai cercando venture, e intanto sei causa delle sventure altrui; tu ferisci e ricusi di rimediar alle piaghe che vai facendo.

“Dimmi, o giovine valoroso (così Dio ti liberi da ogni affanno), sei tu nato nei deserti della Libia o sulle montagne del Jacca?

“Ti allattarono forse i serpenti? o fosti per avventura allevato fra l’orrore delle foreste e l’asprezza delle montagne?

“Dulcinea! giovine, fresca e di fiorente salute, può darsi vanto di avere ammansato una tigre, una belva feroce.

“Per questa vittoria essa andrà famosa dall’Henares al Jarame, dal Tago al Manzanarre, dalla Pisverga all’Arlanza.

“Quanto volontieri vorrei esser lei; e ne darei anche per sopra mercato il più bello dei miei abiti, quello ornato con frangie d’oro.

“Oh quale felicità! vedersi nelle tue braccia, od almeno presso il tuo letto grattandoti la testa.

“So ch’io domando troppo gran cosa, e della quale non sono degna: vorrei soltanto lavarti i piedi; questo è pur sufficiente ad un’umile amante.

“Quante cuffie e scarpettine e calze stupende e mantelli d’Olanda io ti darei!

“Quante fine perle ti donerei e sì grosse che per essere senza pari sarebbero poi chiamate le uniche.

“Non contentarti di mirare dall’alto della rupe tarpea l’incendio che mi consuma, o valoroso Mancego, Nerone del mondo, nè rinforzar questo incendio col tuo rigore.

“Io sono giovine e tenera verginella, la mia età non è maggiore di quindici anni, perchè sull’anima mia e sulla mia coscienza ne ho soltanto quattordici e tre mesi.

“Io non sono nè gobba nè zoppa, non sono rattratta delle mani: