Pagina:Doni, Anton Francesco – I marmi, Vol. I, 1928 – BEIC 1814190.djvu/101

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ragionamento sesto 95


Pandolfino. Questi che rappezzano libri per acquistarsi vitupèro in cambio di buona fama, la maggior parte, e quasi tutti, non fanno mai nulla da loro; stanno sul tarare, su l’appuntare e sul dire.

Lorenzo. Io credo certo che il lor cervello abbi preso la mira tanto alto, di saper dire e fare, che non si contentino poi quando veggano gli scritti loro, se talvolta però hanno cominciato a voler fare opera alcuna; perciò che, nel rimirargli, la seconda volta riscrivono, alla terza trascrivano, alla quarta aggiungano, alla quinta lievano, alla sesta gli stanno peggio che la prima, alla settima se ne forbiscono: eccovi finita tutta la settimana de’ loro studi al Culiseo.

Ciano. Anzi credo piú tosto, messer Pandolfino padron mio, che, rimirando i loro secreti scritti, a paragone de’ publici stampati, che caschi lor le brache e, per l’albagia che eglino hanno nel capo, di credersi di saper dire e fare meglio, e’ vegghino e la rivegghino e la pilucchino un pezzo, poi all’ultimo e’ s’accorghino che gli stanno male a opinione.

Lorenzo. Odi, ancor questa non puzza!; però cercano di rovinarci tutti i buoni scrittori nostri con fargli variare i vocaboli, le dizioni, i numeri e lo scrivere, come fanno gli avocati, che, non potendo vincer la lite, allungano il tempo e l’avviluppano piú che possono. Ma alla fine si stamperá un Boccaccio a Firenze, da quello originale, e allora il mondo conoscerá che questi farfalloni che fanno il dotto si sono aggirati intorno al lume.

Ciano. Faccino delle lor sapienze in mal punto, e lascino stare le nostre gofferie.

Pandolfino. A me fanno eglino un gran piacere, quando mettano su’ lor libri tradotti in lingua volgare, a dire «tradotto in lingua italiana», perché ci darebbono un gran carico, se dicessero «in lingua toscana» o «fiorentina»; perché coloro che gli leggessero, crederebbono che qua a Fiorenza si parlassi cosí e scrivessi, onde noi staremmo male. Ma, dicendo «in lingua italiana», non dicano bugia e non fanno torto alla buona pronunzia; perché i lor dottissimi libri «tradotti», che non hanno