Pagina:Doni, Anton Francesco – I marmi, Vol. I, 1928 – BEIC 1814190.djvu/34

Da Wikisource.
28 i marmi - parte prima


sien licenziati, perché una sorte piglia da tutti e non dá, l’altra cade in gravi errori per non aver temperanza in sé. I ghiotti, i biastematori, gli infami si scaccino».

Borgo. Passate inanzi, lasciate le leggi, perché le son cose che non s’osservano; anzi tutta cotesta pèste d’uomini abita nella maggior parte delle corti, e par che i signori non vi sappino tener altri. Oh che tempo gettato via a scriver sí buoni ricordi!

Ghioro. «Nell’anno della creazion del mondo quattromila trecento cinquantacinque (questo abaco è minuto; non so se l’è cosí come io dico) nella terza etá, essendo re degli assiri Sardanapallo, degli ebrei Ozia, vivendo Rea madre di Romulo, nel secondo anno della prima olimpiade, ebbe principio il gran re de’ lidi, quella Lidia, dico, che è nell’Asia minore, giá chiamata Meonia e ora detta Morea: il primo re fu chiamato Ardisio».

Borgo. Passate piú inanzi, ché voi siate adietro parecchi usanze — secondo che dice il Plinio vulgare che io ho in casa — ad arrivare a Creso.

Ghioro. «Il nono re fu Creso, secondo che scrive Senofonte, che fu piú potente in vincer la guerra che in adestrar la sua persona: egli era storpiato d’un piè, guercio d’un occhio, senza capegli, nano e un poco gobbo».

Borgo. Costí, costí leggete via, ché Berto disse bene. Infine ogni simile appetisce il suo simile; perché costui era gobbo, però gli piace le cose de’ gobbi. Poi che dice che io intenderò di belle cose, leggete via difilato.

Ghioro. «Fu Creso uomo giusto, pien di veritá, magnanimo, piatoso e sopra tutto nimico degli ignoranti e molto amico de’ sapienti».

Borgo. Alla barba d’una gran parte de’ signori, che sono il rovescio della sua medaglia: egli era brutto di corpo e bellissimo d’animo; oggi i nostri son begli in banca col fusto e con lo spirito sozzissimi e lordi.

Ghioro. «Dice Seneca, nel libro della Clemenzia, che fu tanto amico de’ sapienti che i greci lo chiamavano «amante della virtú», e che mai amante s’afaticò tanto in volere avere