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62 i marmi - parte prima


Ghetto. Scorzone, dico, che divide: e quando una stella va in su, che la tocca lo scorzone, la si vede; quando la casca, la non si vede.

Dubbioso. Ecco, quando l’uomo vuol fare il dotto essendo ignorante, come egli favella, si conosce. Costoro debbono esser pur troppo matti, come e’ dicono; ma quell’aver calze rosate, scarpe di seta, saion di ricami e una cappa scarlatta, con quel berrettone di velluto, mi fa parer qualche signor costui: o egli è o pizzica di buffon pazzo; ma quell’altro con il cappuccio mi pare uno scimonito tattamella. E’ vuol dire: quando una stella sale dall’emispero di sotto al nostro e giunge all’orizzonte, che è confine fra l’uno e l’altro, allora la si comincia a veder da noi; cosí, per l’opposito, quando ella è scesa tutto il nostro emispero e che la tocca l’orizzonte occidentale, che allora la tramonta e piú non si può vedere.

Scalandrone. Gran cosa che, come voi siate insieme, sempre favellate di luna! Volete che io vi dia un buon consiglio? Andatevene, perché questi giovani vi faranno qualche bischenco; maestro Antonio, andatevene, fate a mio senno.

Carafulla. Vattene tu, che tieni luogo per quattro.

Scalandrone. E io son pazzo ancóra a impacciarmi con pazzi.

Dubbioso. O uomo da bene, chi son costoro che voi avete lasciati andare in lá?

Scalandrone. Non lo sapete? Voi non dovete esser da Firenze, forse.

Dubbioso. Non io; sono napolitano o, per dir meglio, da Orvieto, al comando della signoria vostra.

Scalandrone. Perché dite voi napolitano, se séte da Orvieto, signore?

Dubbioso. Per esser stato a Napoli. Siate voi gentiluomo fiorentino?

Scalandrone. Io son bottegaio e arruoto rasoi: perché? che vorreste?

Dubbioso. Ego quero aliquid vir doctus et peritus in litterabus ebrea, grecibus latinisque.