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Nella cantina era un andare e venire continuo, un brulichio vario, un frastuono indiavolato. Una luce fioca, resa ancor più opaca dal fumo denso di pipa, che si elevava a globi, diffondendo un odore acre e disgustoso rischiarava scarsamente quell’ambiente. Fra il puzzo delle pipe e del vino l’aria sapeva acutamente di pesce fritto.

— Un litro, madama — si gridava da tutte le parti.

— Due da cinque.

— Il conto, portatemi il conto.

— Una piccola.

— Un mazzo di carte, madama.

— Un momento, figliuoli, abbiate pazienza, un momento; vi servo tutti, abbiate pazienza — diceva la giovane vivandiera tutta rossa e scalmanata — Ecco il sigaro, chi ha chiesto il sigaro?...

— Viva Natale!... viva la classe bella!... è l’ultima e poi...

“Addio piazza d’armi
“Con tutti gli ufficiali
“Sergenti e.....

— Eh, eh! finiscila, villano, taci là, burlone.

— Viva il 71!...

— Il silenzio! il silenzio.... andate a letto figliuoli, è suonato il silenzio; buona sera, figliuoli, buon Natale: andate, andate, felice notte....

— Un litro ancora, signora Peppina, una bottiglia, eh, diavolo ci cacci ora?

— Viva la classe bellaaaa....

— Vivandiere!... — rintronò una voce iraconda (era l’ufficiale di picchetto) Vivandiere!... chiudete la cantina o voialtri a letto, marche.

Ed ecco a quella voce uno sbandarsi qua e là uno sgattaiolarsela mogi mogi, un portare la mano rispettosamente alla visiera o poi via, rasentando i muri, zitti, la testa bassa.

— E non la finirebbero più — continuò l’ufficiale — a momenti son ventitrè ore; già la colpa è del vivandiere; la cantina aperta a ventitrè ore....

— Signor tenente....

— Sì, lo so, lo so.... basta, buona notte.