Pagina:Doyle - Le avventure di Sherlock Holmes.djvu/60

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— La terza via a destra, la quarta a sinistra, riprese l’impiegato richiudendo la porta.

— Per bacco! non è stupido questo ragazzo, mormorò il mio amico inchinandosi. L’ho incontrato in qualche luogo. E sò quanto volevo sapere.

— Che cosa? chiesi.

— Ho veduto le sue ginocchia... sì è così, proseguì, parlando fra sè; dopo il prestatore c’è un libraio, poi un bar; più lungi la banca suburbana, e per ultimo il noleggiatore di vetture... Ora non abbiamo che il tempo di recarci al concerto.

Seduto in un seggiolone di Saint James’s Hall, Holmes ascoltava ora il canto del violino di Sarasate; il volto era irradiato da un sorriso, e la mano seguiva il movimento indiavolato del musicista.

Il suo alter ego trionfava; l’artista pareva avere in lui soffocato il questore. Quando egli si abbandonava alla musica, o alle sue ricerche chimiche, lo faceva con passione tale, che ogni altra preoccupazione era bandita dalla sua mente. Sentiva il bisogno di queste distrazioni, e ne usciva fortificato, riposato, e si rimetteva al lavoro con un ardore temuto per coloro dei quali voleva sconvolgere le mene criminali.

— È molto seria questa istoria della lega dei Rouquins mi disse uscendo, speriamo di pervenire. Volete prestarmi il vostro concorso questa sera Watson? Avrò bisogno di voi verso le 10.

— Certo.

— Allora non dimenticate il vostro revolver. Arrivederci.

Andandomene, cercavo alla mia volta di capire qualche cosa da quel tenebroso affare. Mi sentivo tanto ottuso, tanto volgare di fronte a Holmes! avevo come lui occhi, ed orecchi; sapevo vedere, e udire; e però nulla io aveva veduto, nulla udito.

Soltanto quel piccolo Vincenzo m’imbrogliava;