Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/73

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Ma qui c'è la neve. Non è maggio qui?...

La nonna dice:

— Hans....- e incomincia un lungo discorso; pare che lo interroghi, che domandi.

Ma il piccolo non risponde. Egli non capisce il tedesco, ha tanto freddo, e non vuol essere Hans. Egli è Giovanni, Giovannino; ed in casa lo chiamavano Nennè: la mamma l'ha sempre chiamato così, ed anche il babbo, benchè fosse tedesco, piccolo impiegato d'una fabbrica di liquori calato a Messina dove aveva conosciuto e sposato Concetta, la pallida e ardente siciliana, che gli aveva fatto dimenticare la patria, la madre, la lingua nativa, soggiogandolo, bruciandolo col suo amore, come sanno bruciare le donne e le lave dell'Etna.

Quante volte Nennè non aveva udito la mamma, dopo qualche lite passeggera e violenta, lanciare al babbo l'ingiuriosa sprezzante parola:

— Croato!

Ed egli rispondere, col biondo faccione impallidito, con quell'atroce pronuncia che, suo malgrado, gli era rimasta:

— Io sono biù italiano di foi!

In una sola tragica notte il terremoto aveva inghiottito mamma e babbo sotto le macerie di cinque piani, e Nennè, tratto illeso per un prodigio di sotto ad una grossa trave, era rimasto solo al mondo. Per tre mesi l'avevano ricoverato in un orfanotrofio insieme a un centinaio di ragazzi colpiti dalla sua stessa sventura, poi, esaurite le indagini, assodata la parentela, e la condizione morale e sociale dei parenti,