Pagina:Economisti del Cinque e Seicento, Laterza, 1913.djvu/298

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Se uno Stato non avesse punto di commercio con gli altri e vivesse delle sole comoditá che produce il suo terreno, come ha fatto tanto tempo la Cina ed alcuni altri popoli, potrebbe il principe valutar le sue monete quanto a lui piacesse, e fossero di che materia si volessero. Onde quei tartari del Catai, che Marco Polo e dopo lui tant’ altri ancor moderni raccontano aver in uso monete di carta sigillata dal loro re ed altri ministri, non ne sentono incomodo alcuno, mentre comunemente fra loro sono accettate. E sebbene, in que’ pochi contratti che fanno con gente estranea, sono forzati a valersi di monete d’oro e d’argento, di che non hanno per tali occorrenze carestia, fra di loro però si valutano quelle di carta, al pari di quelle d’ogni metallo, conforme le valuta il re; né vi è quasi differenza dall’uso di esse all’uso delle polizze de’ mercanti, con le quali girano i pagamenti tra loro, senza contare, il piú delle volte, monete in gran numero, servendo in luogo di quelle il credito di quel mercante che s’ha formato debitore colla sua sottoscrizione, o pure le partite di bancogiro in quelle cittá ove si costuma. Perciò quel principe, i sudditi del quale non contrattassero con gli esteri, potrebbe dar valore alle sue monete conforme a lui piacesse, senza far pregiudizio a’ sudditi; e potrebbe dire d’aver la vera alchimia e la vera pietra filosofale, mentre la sua sottoscrizione valerebbe tanto quanto a lui paresse di valutarla. Li spartani, allorché Licurgo vietò loro ogni moneta fuorché di ferro, se la passarono qualche centinaia d’anni con quella, tutto che pesante ed incomoda, non ostante che per comprarsi una berretta lor bisognasse condur seco un facchino carico di quella moneta, per pagarla. Ma le guerre esterne avevano bisogno d’oro e d’argento, perché in terre aliene, ove gli altri popoli non si contentavano di vivere alla spartana: gli stessi spartani avevano bel mostrare moneta di ferro, che, se altra non avevano, non averebbono a’ bisogni del vivere potuto provvedere.

Se dunque un principe vuole che le proprie monete d’argento e d’oro siano accettate da’ popoli .stranieri, sicché possano i sudditi aver commercio con essi, non può egli valutarle se non giusta l’interna bontá e valore: altrimenti gli altri