Pagina:Economisti del Cinque e Seicento, Laterza, 1913.djvu/389

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Firenze e di Venezia sono di cosi bello argento e di cosi limpida bianchezza, che non è cosi facile ingannar con l’arte de’ falsari gli occhi almeno de’ pratici ed intendenti. La mistura del rame ne scuopre in breve tempo il rossore, quella dello stagno gli leva il peso, il suono e la vivezza del colore; e tutt’altro che abbiano con loro per coprirne la fraude, dura poco tempo a lasciarne conoscere l’inganno, subito, cioè, che ne sia alquanto dall’uso logorata la superfície. Perciò si veggono falsificate piú spesso le monete di basso argento de’ principi di Lombardia che li testoni e paoli della Chiesa e della Toscana, piú li ducati veneziani che gli scudi e ducatoni della medesima zecca; essendo verissimo ch’egli è piú facile l’immitar col falso il man buono che il perfetto. E forse la natura, nel produr questi metalli di cosi differenti colori, ebbe mira d’impedire gli inganni che nell’uso, a cui la sovrana provvidenza gli aveva destinati, potevano dall’umana ingordiggia esser introdotti.

Ned è nuova regola ed osservazione di fatto questa, ch’io propongo per utilissima norma delle zecche, di batter le sue monete col piú possibile caratto di finezza; ma fu conosciuta e mantenuta, anzi per legge stabilita sino da’ piú antichi secoli. La stabilirono coU’esempio i romani ne’ loro secoli migliori, e gl’imperadori stessi; trovandosi le monete d’oro al tempo della repubblica tutte finissime, se qualcuna falsificata ne sia eccettuata, e leggendosi che Cornelio Siila dittatore, per la legge detta Cornelia, ed Augusto, per la legge Giulia, obbligarono i magistrati delle monete a batter oro fino. L’oro delle monete di Vespasiano fu saggiato in Parigi a’ tempi di Bodino, e trovato di tale finezza, che per cimento reale non era scemato piú di un settecentottantesimo del tutto, eh ’è poco piú di mezzo grano per oncia; cosa insensibile e che vien perduta dallo stesso tormento.