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La conferma di questi sentimenti di ostilità si vide nel fatto che i funerali del colonnello de la Haye si fecero in altro giorno a San Luigi dei Francesi, e vi assisterono molte dame d’oltre alpe, facendo sfoggio di rose gialle.

Mi fermo su questi particolari per mostrare che il dissidio che si è manifestato dopo fra la nazione francese e l’Italia, più che dai grandi fatti che si dimenticherebbero agevolmente, qualora l’interesse lo richiedesse, è stato suscitato e poi tenuto vivo da questi attriti che creano le inimicizie, come le attenzioni e i piccoli doni creano e mantengono le amicizie.

E un piccolo dono fecero le alunne della scuola municipale di Campo Marzio alla Principessa di Piemonte per l’Istituto per i Ciechi che ella si studiava di fondare. Una deputazione di bambine le portò al Quirinale 200 lire, e questa tenue offerta servi a rafforzare i legami di benevolenza, che la Principessa nutriva verso le scuole. La fondazione dell’istituto era il pensiero costante di Margherita di Savoia. Ella ne presiedeva di sovente il Comitato, che adunavasi al Quirinale, ed al quale assisteva il sindaco, conte Pianciani. Con una recita di Adelaide Ristori, che fruttò 5000 lire a beneficio dell’istituto, s’ inaugurò appunto il teatro Rossini, i cui lavori erano stati diretti dall’ingegner Vespignani. Il Re dette 8000 lire per il nuovo ospizio, il Comune 10000, i Principi Reali sooo, la Banca Nazionale 2000; molto le sottoscrizioni pubbliche e le private. Era una vera gara di carità per raggiunger la somma occorrente, ma prima che l’ospizio potesse sorgere, passò del tempo, perchè l’inverno del 1874 fu tutt’altro che florido per Roma.

La mancanza degli alloggi per gli operai si faceva sensibilmente sentire, dal momento che si era messo mano a tutti i lavori e migliaia di braccianti, specialmente scavatori, manuali e muratori, erano venuti a Roma. Sulle gradinate delle chiese, sotto i portici, perfino sotto il colonnato del palazzo Massimo si vedevano dormire quegli infelici, che non avevano altro ricovero. Il caro dei viveri, dopo l’applicazione del dazio consumo per parte del municipio, e per la scarsezza del raccolto, era divenuto intollerabile. Un chilogramma di pane si pagava 62 centesimi, prezzo enorme davvero; la carne avea raggiunto prezzi favolosi, e il vino era divenuto oggetto di lusso.

Ai primi di marzo, alcuni cittadini pubblicarono un manifesto invitando a una riunione allo Sferisterio per discutere intorno alla istituzione dei magazzini cooperativi, ai forni, alle cucine economiche, alla istituzione dell’asta pubblica per i generi alimentari, e soprattutto per la costruzione dei mercati. Il questore, benché il manifesto del Comizio fosse redatto in termini veramente miti, ne proibì l’affissione, forse perché fra i firmatari figuravano nomi di noti agitatori. Il Comizio si tenne lo stesso e vi parteciparono circa 500 persone. I discorsi che furono pronunziati non giova ripeterli. In quel comizio vediamo discutere insieme Giuseppe Luciani e Pietro Sbarbaro, uno sul terreno pratico, l’altro su quello scientifico. L’ordine del giorno Luciani fu approvato. Esso chiedeva quanto era annunziato nel manifesto, più alcuni conventi per istituirvi forni e cucine economiche, che dovevano fornire il desinare agli operai per 7 soldi. Terminava esprimendo il voto che le somme necessarie a queste istituzioni fossero trovate nel bilancio comunale, e specialmente nelle somme iscritte in quello per iscopo di mero lusso, quali i restauri e la dote per l’« Apollo », le feste e la pubblicità degli atti municipali, e emetteva pure il voto che fossero tolti gl’indugi alla costruzione delle case operaie e ai lavori del Tevere. Le cucine economiche e i forni furono istituiti poco dopo; i lavori del Tevere andavano per le lunghe, perché il Consiglio comunale, non contento del concorso governativo di sei milioni, ne chiese dieci, e ottenutili non potè subito presentare un progetto particolareggiato.

Il malcontento era vivo contro il Consiglio e specialmente contro il Sindaco, e gli si chiede-