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della confusione del partito. Il Bersagliere non aveva bandiera spiegata, il Diritto era rappresentante e interprete del gruppo Cairoli, e per questo ostile al Ministero; la Capitale lasciava in pace il Nicotera, ma combatteva il Depretis; la Riforma, ispirata dal Crispi, non era punto tenera per il 3° gabinetto Depretis e lo chiamava «un Ministero tollerato». Il Ministero dunque non aveva per sé altro che l’Avvenire, giornale di nessuna importanza, e il Popolo Romano, che in poco tempo, sapendo trar dalla sua la borghesia, occupandosi specialmente delle quistioni che la riguardavano, e sostenendole a spada tratta, aveva acquistato autorità.

Si fecero allora tentativi per la ricostituzione dei partiti. Il Sella riprese la presidenza della Opposizione costituzionale di S. M. e vi furono trattative fra il Crispi e il Depretis, e fra il Baccarini, come mandatario del gruppo Cairoli, col presidente del Consiglio. Neppure il Nicotera rimase estraneo a quei tentativi di accordo. Ma le trattative fallirono per le pretese soprattutto del gruppo Cairoli, che chiedeva tre portafogli e quattro segretariati generali.

Il Ministero, barcamenandosi alla meglio, tirò avanti fra mille difficoltà, che gli venivano soprattutto dall’agitarsi delle società per l’Italia Irredenta, dai Circoli Repubblicani e Internazionali cresciuti a dismisura negli ultimi tempi. A quelli Barsanti, che già dimostravano dal nome i loro intendimenti, si aggiunsero anche quelli Passanante.

Il Governo ebbe un primo voto di fiducia il 28 marzo sull’ordine del giorno Cairoli rispetto al macinato, che la sinistra voleva vedere abolito. Il Depretis aveva dichiarato che non voleva ne macinato, nè disavanzo; dunque nuove imposte.

Il 1° aprile venne alla Camera l’interpellanza Cavallotti sullo scioglimento della Fratellanza repubblicana di Milano. Il Depretis riportò una vera vittoria perché in quella quistione non aveva contro nessun altro che l’estrema sinistra.

S’impegnò quindi la lotta sulle costruzioni ferroviarie, che durò eternamente, perchè ad ogni linea erano legati interessi rappresentati da piccoli e grossi gruppi, che creavano nuove scissure nel campo della Sinistra. Intanto nelle sedute antimeridiane si discutevano altre leggi, come quella del sussidio a Firenze, il cui municipio stava per fallire. La legge fu votata mercè l’aiuto di molti. Garibaldi aveva scritto una lettera ai colleghi della Camera raccomandandone l’approvazione, il Peruzzi aveva dimostrato in quali acque navigava il comune, il Martini aveva fatto notare con quale pazienza Firenze aspettava, e il Minghetti e il Cairoli si erano trovati concordi nel riconoscere i diritti di Firenze. Con tutto questo il secondo articolo sul rimborso per le spese della occupazione austriaca fatte dal Governo toscano con i denari del Comune, non sarebbe stato approvato se non si fosse alzato il barone Ricasoli e non avesse rammentato che nel 1859, quando assunse il governo della Toscana erano nelle casse dello Stato i denari per pagare il Comune, ed egli se ne servì per mandare soldati alla frontiera.

Appena votato il sussidio a Firenze, gli uffici della Camera si occuparono del concorso per Roma, concordato fra il presidente del Consiglio e il sindaco nelle frequenti sedute che tennero insieme. Il progetto era questo:

Art. 1. — È autorizzato il concorso dello Stato, per una somma di 50 milioni di lire, alle spese da sostenersi dal Comune di Roma per l’attuazione del piano edilizio regolatore e di ampliamento della capitale del Regno.

Art. 2. — Il piano regolatore edilizio e di ampliamento della città di Roma sarà sottoposto all’approvazione governativa, a norma della legge 25 giugno 1863, n. 2359, non più tardi del 31 dicembre 1879.