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nel quartiere occupato prima da Monsignor Randi, pro-ministro di Polizia. Di li il Masi emanò subito due decreti, uno per il ritiro immediato delle armi, di cui il popolo si era impossessato, trovandole abbandonate dai Pontificii, un altro riguardante il corso delle monete italiane, le poste e i telegrafi.

Nello stesso tempo il generale Cadorna emanava il seguente proclama:

«Romani!

«La bontà del diritto e la virtù dell’esercito mi hanno in poche ore condotto tra voi, rivendicandovi in libertà. Ormai l’avvenire della Nazione è nelle vostre mani. Forte dei vostri liberi suffragi, l’Italia avrà la gloria di sciogliere finalmente quel gran problema che si dolorosamente affatica la moderna società!

«Grazie, Romani, a nome dell’esercito, delle liete accoglienze che ci faceste. L’ordine mirabilmente finora serbato, continuate a guardarlo, che senz’ordine non v’è libertà.

«Romani! La mattina del 20 settembre 1870 segna una delle date più memorabili nella storia. Roma anche una volta è tornata, e per sempre, ad essere la grande Capitale di una nazione!

«Viva il Re, Viva l’Italia!

«R. Cadorna».


Il Cadorna emanava pure un ordine del giorno di encomio ai suoi soldati e faceva affiggere quello del Re al Ministro della guerra, Ricotti, così concepito:

«Esprima ai generali Cadorna, Bixio, Cosenz, Angioletti, Ferrero e De la Roche, agli ufficiali tutti e alle truppe ai loro ordini la mia alta soddisfazione per l’esemplare contegno tenuto e per le novelle prove date, dì abnegazione, moderatezza e disciplina e per il valore dimostrato.

«Anche in questa congiuntura l’Esercito ha pienamente corrisposto alla mia fiducia ed a quella della Nazione.

«Vittorio Emmanuele» .


L’ordine, come diceva il Cadorna nel suo manifesto ai Romani, non era infatti stato turbato, benchè la città fosse senza amministrazione municipale e senza governo. Bastarono le esortazioni di un ufficiale a far desistere una turba di popolani dal penetrare alla Consulta, ove si custodivano i processi politici, come bastava ovunque la presenza dei soldati per impedire che fossero malmenati gli zuavi, che erano scoperti in qualche nascondiglio, gli zampitti e i caccialepri.

Il Montecchi, l’antico triumviro della Repubblica Romana, giunse a Roma il 21 e dal Costa fu condotto con vive pressioni dopo le 2 al Campidoglio. A lui fu presentata una lista di nomi per la Giunta, acclamata la sera prima in una riunione di popolo, lista che comprendeva don Onorato Gaetani, don Baldassare Odescalchi, il principe di Piombino, don Emanuele Ruspoli, Giovanni Costa, Augusto Silvestrelli, Felice Ferri, Mattia Montecchi, Guido Baccelli, Pietro De Angelis, Filippo Costa, il dottore Aleggiani, Vincenzo Rossi.

Il Montecchi nel suo opuscolo: La Giunta Romana ed il comizio popolare del 22 settembre, di cui mi servo, dice che è possibile che abbia dimenticato qualche altro nome. Mentre discutevano, entrarono il cav. David Silvagni e il fratello, ex-maggiore dell’esercito, i quali si offrirono di cooperare in tutto ciò che fosse necessario.