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industriali come Firenze, Torino e Milano, ma era ben disposta, graziosa e servi a far conoscere tante industrie ignorate fino a quel giorno.

Le corse sulla nuova pista di Tor di Quinto riuscirono bellissime. Vinse il premio di 80,000 lire Meleagre del marghese Birago, quello di 12,000 Frank Patras del duca di Zoagli, quello di 5000 Guitare pure di Birago e l’ultimo di 3,000 Marielon del conte di Beauregard.

Le corse e la gara, che fu inaugurata dal Re, insieme con la nuova via che riunisce a quella Flaminia la pista di Tor di Quinto, richiamarono a Roma molta gente da ogni parte d’Italia e chi veniva alla capitale in quei giorni, non accorgevasi davvero che essa fosse travagliata dalla tremenda crisi, nè che albergasse tanta miseria. Nelle vie vi era sempre folla, i caffè e i teatri erano sempre pieni e Roma serbò per circa due mesi un aspetto di festa.

Il comm. Oblieght aveva concesso la sua ferrovia da Castel Sant’Angelo a Ponte Molle per il trasporto dei tiratori al campo di Tiro, Michele Lazzeroni non risparmiava nè denari nè cure per le accoglienze agli italiani e ai francesi, venuti qui numerosi, e il general Luigi Pelloux, il principe d’Avella e il comm. Nicola Fabrizi lavoravano concordi per il buon esito della gara, che fu molto importante. I tre primi premi vennero riportati da Filippo Celesia di Genova, da Galileo Taddeini di Castel Fiorentino e da Giovanni Barbaro di Palermo. Il Re nel consegnarli pronunziò parole atte ad incoraggiare i giovani ad esercitarsi al tiro.

Il Papa erasi fatto appena vivo nei primi mesi del 1890. Egli aveva creato cardinali monsignor Richard, arcivescovo di Parigi; monsignor Foulon, arcivescovo di Lione e monsignor Schönborn, arcivescovo di Praga. Dopo, la malattia e poi la morte del fratello cardinal Pecci, lo avevano piombato nel dolore. Il cardinale abitava al palazzo Barberini e fu assistito dai tre nipoti e dalla nipote contessa Moroni. Si vuole che anche il Papa si recasse al letto di morte del fratello per confortarlo negli ultimi momenti. Il corpo del cardinale fu esposto nella sala degli arazzi. Il trasporto si fece senza nessuna pompa e il cadavere del defunto venne tumulato al Campo Verano nella cappella dell’ordine dei gesuiti, al quale apparteneva. Il Cardinale godeva di tutta la stima del Pontefice ed era stato in omaggio a lui, studiosissimo delle opere dell’Aquinate, che Leone XIII aveva rimesso in auge la Somma di San Tommaso.

Anche l’aristocrazia romana fece una perdita dolorosa con la morte del principe don Giannetto, capo della famiglia Doria-Pamphily. Il Principe morì sotto l’operazione della pietra, fattagli da un chirurgo francese. I chirurghi romani Bertini, Nardini, Marchiafava e Postempski si erano dichiarati contrari all’operazione reputandola inutile. Don Giannetto lasciò esecutore testamentario il principe don Mario Chigi legando un milione e mezzo agli istituti di beneficenza, 50,000 lire ai poveri e diversi doni agli amici. I funerali furono fatti a Sant’Agnese a piazza Navona, che è di patronato dei Doria, e il feretro fu seguito da 130 carozze della aristocrazia romana. Il titolo e i beni di casa Doria passarono al secondogenito don Alfonso duca d’Avigliana.

Dopo la morte del general Pasi, il Re aveva conferita la carica di primo aiutante di campo al conte Pallavicini di Priola, soldato valoroso e devoto alla monarchia; e al marchese Origo, grande scudiere, aveva dato per successore il marchese Corsini di Lajatico, che era già in corte da molto tempo.

Il giuoco sfrenato della Borsa, che si era manifestato negli anni precedenti e al quale, allettati da pronti guadagni, avevano con loro gravissimo danno partecipato tanti possidenti incauti, e il continuo giuoco al ribasso avevano messo in luce non pochi guai, che si verificavano alla Borsa, e dato luogo a continue scene spiacevoli. Per questo la deputazione della Borsa di Roma, con l’approvazione della Camera e col consenso del Governo, concretò due provvide misure. La prima consisteva