Pagina:Emma Perodi - Roma italiana, 1870-1895.djvu/48

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Il primo a essere insignito del Collare dell’Annunziata in seguito alla liberazione di Roma, era stato il Lanza, presidente del Consiglio. Dopo la presentazione del plebiscito ebbe il gran Cordone della Corona d’Italia il conte Ponza di S. Martino, che, come abbiamo visto, aveva compiuta una delicata missione presso il Papa; don Emanuele Ruspoli, e i presidenti delle Giunte provinciali furono creati commendatori; tutti gli altri membri della deputazione romana ebbero le insegne di ufficiali dello stesso ordine.

Il Re promulgò pure un’amnistia per i reati di stampa e di carattere politico, una per la guardia nazionale, e creò il Lamarmora luogotenente generale per Roma e per le provincie romane. Al luogotenente erano aggiunti quattro consiglieri: il Gerra per l’interno, il Giacomelli per le finanze, il Brioschi per l’istruzione pubblica e il Bonacci per la grazia e giustizia. Il Bonacci non potè accettare e fu posto in sua vece l’avvocato Piacentini.

I decreti si succedevano ai decreti, e a volerli notare tutti, sarebbe impossibile, perchè gioverebbe riprodurre quasi tutti gli articoli del nostro codice, che venivano man mano applicati alle nuove provincie.

Al duca di Sermoneta, che se ne tornava in fretta a Roma, insieme con alcuni suoi compagni, intanto che gli altri proseguivano per Torino e Milano, guidati da don Emanuele Ruspoli, che non si stancava di pronunziare discorsi e di farsi ammirare per la bellezza della persona e per la facondia, occorse uno spiacevole incidente. Mentre il treno, che lo portava, usciva dalla stazione di Civitavecchia, fu tirato contro il compartimento in cui il duca si trovava, un colpo di pistola, che infranse i vetri, ma non lo colpì. Il duca di Sermoneta, con la sua aperta adesione al regno d’Italia, aveva destato le ire dei fanatici clericali. A Roma aveva fama, prima del 1870, di esser malcontento del governo e di dirlo, ma si credeva che ciò dipendesse piuttosto dalla sua indole sarcastica, che lo portava facilmente a criticare, piuttosto che da sentimenti liberali. Si diceva che egli non si occupasse d’altro che di studiare e di rimettere in assetto il patrimonio, lasciato dal duca di Caserta, suo padre, in cattivo stato, e al quale non aveva risparmiato neppure il biasimo, facendo murare sulla porta dell’archivio, a metà scala del palazzo, una lapide che lo designava appunto come poco economo. Era noto come dopo il 20 settembre si era fatto pregare per venire a Roma a prendere la presidenza della Giunta, e che era stato Rodolfo Volpicelli che ve lo aveva indotto, e si credeva che avrebbe conservato poco quel posto. Invece la sua condotta, i suoi discorsi, avevano meravigliato tutti i clericali, e non è improbabile che un fanatico abbia cercato di ucciderlo.

Nel tempo appunto in cui il duca di Sermoneta era a Firenze, si narrava e si stampava a Roma che prima di partire avesse visitato il cardinale Antonelli per partecipargli la sua missione e domandargli se non poteva sperare di portare, insieme col Plebiscito, una proposta di conciliazione fra il Papato e l’Italia.

Il cardinale, offeso, gli avrebbe risposto che il Papa, il Collegio dei cardinali e il patriziato romano erano scandalizzati che un duca Caetani avesse accettato di presiedere alla sacrilega votazione; al che il duca avrebbe replicato, che si gloriava dell’incarico conferitogli, dell’alta missione che andava a compiere, e che gioiva di poter essere ancora utile al suo paese.

La mattina del di 11 ottobre il cannone annunziò ai romani l’arrivo del luogotenente generale del Re. Il Lamarmora aveva fama di essere un vero piemontese e un vero soldato, e la sua venuta sgomentò alcuni, ma il popolo non vedeva in lui altro che il rappresentante di Vittorio Emanuele, di quel Re, che bramava tanto di accogliere, e lo festeggiò calorosamente al suo uscir