Pagina:Eneide (Caro).djvu/258

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[570-594] libro v. 217

570Mi ritraggono a dietro. Io quando avessi
O men quei giorni, o non men quel vigore,
Onde costui di sè tanto presume,
Già per diletto mio seco alle mani
Sarei venuto, e non dal premio indotto,
575Chè premio non ne chero. E pur qui sono.
Disse, e sorgendo, due gran cesti e gravi
Gittò nel campo, e quelli stessi, ond’era
Solito a le sue pugne Èrice armarsi.
Stupîr tutti a quell’armi che di sette
580Dorsi di sette buoi, di grave piombo
E di rigido ferro eran conserti.
Stupì Darète in prima, e ricusolle
A viso aperto, onde d’Anchise il figlio
Le prese avanti, e i lor volumi e ’l pondo
585Stava mirando, quando il vecchio Entello
Così soggiunse: Or che diria costui
Se visto avesse i cesti e l’armi stesse
D’Ercole invitto, e l’infelice pugna,
Onde in su questo lito Èrice cadde?
590D’Èrice tuo fratello eran quest’armi:
Vedi che son ancor di sangue infette
E d’umane cervella. Il grande Alcide
Con queste Èrice assalse: e con quest’io
M’essercitai, mentre le forze e gli anni


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