Pagina:Eneide (Caro).djvu/279

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238 l’eneide. [1095-1119]

1095Da lor si parte, ed al suo caro Aceste
Quanto può caramente gli accomanda.
Poscia, fatta al grand’Èrice in sul lito
Di tre giuvenchi offerta, e d’un’agnella
A le Tempeste, si rimbarca e scioglie.
1100Ed ei stesso altamente in su la proda,
Cinto il capo d’oliva, una gran tazza
In man si reca, e di lenèo liquore
E di viscere sacre il mare asperge.
     Sorgea da poppa il vento, e le sals’onde
1105Ne gian solcando i remiganti a gara,
Quando del figlio Citerea gelosa
Nettuno assalse, e seco querelossi
In cotal guisa: La grav’ira e l’odio
Di Giuno insazïabile m’inchina
1110Ad ogni priego; poscia che nè ’l tempo,
Nè la pietà, nè Giove, nè ’l destino
Acquetar non la ponno. E non le basta
D’aver già Troia desolata ed arsa,
Che le reliquie il nome e l’ossa e ’l cenere
1115Ne perseguita ancora. Ella ne sappia,
Ella ne dica la cagione. Io chiamo
Te per mio testimon de l’improvisa
Micidïal tempesta che pur dianzi
Per mezzo de l’eolide procelle


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