Pagina:Eneide (Caro).djvu/49

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8 l’eneide. [158-182]

Cader per le tue mani e lasciar ivi
Questa vita affannosa, ove lasciolla,
160Vinto per man del bellicoso Achille,
Ettor famoso e Sarpedonte altero?
E se d’acqua perire era il mio fato,
Perchè non dove Xanto, o Simoenta
Volgon tant’armi e tanti corpi nobili?
     165Così dicea; quand’ecco d’Aquilone
Una buffa a rincontro, che stridendo
Squarciò la vela, e ’l mar spinse a le stelle.
Fiaccârsi i remi; e là ’ve era la prua,
Girossi il fianco; e d’acqua un monte intanto
170Venne come dal cielo a cader giù.
Pendono or questi or quelli a l’onde in cima:
Or a questi or a quei s’apre la terra
Fra due liquidi monti, ove l’arena,
Non men ch’ai liti, si raggira e ferve.
     175Tre ne furon dal Noto a l’are spinte:
Are chiaman gli Ausoni un sasso alpestro
Da l’altezza de l’onde allor celato,
Che sorgea primo in alto mare altissimo:
E tre ne fur dal pelago a le Sirti
180(Miserabil aspetto) ne le secche
Tratte da l’Euro, e ne l’arene immerse.
Una, che ’l carco avea del fido Oronte


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