Pagina:Eneide (Caro).djvu/59

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18 l’eneide. [408-432]

Perdute, oimè! le proprie navi, fuori
Siamo d’Italia e di speranza ancora
410Di non mai più vederla. Or questo è ’l pregio
Che si deve a pietade? e questo è ’l regno
Che da te, padre mio, ne si promette?
     Sorrise Giove, e con quel dolce aspetto
Con che ’l ciel rasserena e le tempeste,
415Rimirolla, basciolla, e così dissele:
     Non temer, Citerea, che saldi e certi
Stanno i fati de’ tuoi. S’adempieranno
Le mie promesse; sorgeran le torri
De la novella Troia; vedrai le mura
420Di Lavinio; porrai qui fra le stelle
Il magnanimo Enea. Chè nè ’l destino
In ciò si cangerà, nè ’l mio consiglio.
Ma per trarti d’affanni, io tel dirò
Più chiaramente; e scoprirotti intanto
425De’ fati i più reconditi secreti.
Figlia, il tuo figlio Enea tosto in Italia
Sarà; farà gran guerra, vincerà;
Domerà fere genti: imporrà leggi;
Darà costumi e fonderà città:
430E di già, vinti i Rutuli, tre verni
E tre stati regnar Lazio vedrallo.
Ascanio giovinetto, or detto Iulo,


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