Pagina:Eneide (Caro).djvu/62

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[483-507] libro i. 21

Perchè del fato la regina ignara,
Non fosse lor, per ferità de’ suoi
485O per sua tèma, inospitale e cruda.
Vassene il messagger per l’aria a volo
Velocemente, e ne la Libia giunto,
Quel ch’imposto gli fu ratto essequisce.
E già, la dio mercè, lasciano i Peni
490La lor fierezza; e la regina in prima
S’imbeve d’un affetto e d’una mente
Verso i Troiani affabile e benigna.
     La notte intanto, del pietoso Enea
Molti furo i sospir, molti i pensieri.
495Conchiuse alfin ch’a l’apparir del giorno
Spïar dovesse, e riportarne avviso
A’ suoi compagni, in qual paese il vento
Gli avesse spinti; e s’uomini o pur fere
(Perchè incolto vedea) quivi abitassero.
500Così tra selve ombrose e cave rupi
Fatti i legni appiattar, sol con Acate,
E con due dardi in mano in via si pose.
     In mezzo de la selva una donzella,
Ch’era sua madre, sì com’era avanti
505Che madre fosse, incontro gli si fece.
Donzella a l’armi, a l’abito, al sembiante
Parea di Sparta, o quale in Tracia Arpalice


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