Pagina:Eneide (Caro).djvu/79

Da Wikisource.
38 l’eneide. [908-932]

Non ci riman del giovinetto Iulo,
Almen tornar ne la Sicania, ond’ora
910Siam qui venuti e dove il buon’Aceste
N’è parato mai sempre ospite e rege.
     Al dir d’Ilïoneo fremendo tutti
Assentirono i Teucri, e la regina
Con gli occhi bassi e con benigna voce
915Brevemente rispose: O miei Troiani,
Toglietevi dal cuore ogni timore,
Ogni sospetto. Gli accidenti atroci,
La novità di questo regno a forza
Mi fan sì rigorosa, e sì guardinga
920De’ miei confini. E chi di Troia il nome,
Chi de’ Troiani i valorosi gesti,
E l’incendio non sa di tanta guerra?
Non han però sì rozzo core i Peni:
Non sì lunge da lor si gira il sole,
925Che nè pietà nè fama unqua v’arrive.
Voi di qui sempre, o de la grand’Esperia
E di Saturno che cerchiate i campi,
O che vogliate pur d’Aceste e d’Erice
Tornare ai liti, in ogni caso liberi
930Ve n’andrete e sicuri. Ed io d’aita
Scarsa non vi sarò, nè di sossidio:
E se qui dimorar meco voleste,


[556-572]