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la geometria 195

esprime una limitazione del processo genetico per cui dai punti si passa alle linee, e da queste alle superficie ecc.

Abbiamo già notato d’altronde che il continuo a tre dimensioni non è esso stesso oggetto di una rappresentazione attuale propria (cfr. in ispecie § 20).

Quanto alle relazioni esterne delle superficie, si ha anche qui una costruzione progressiva che sale da particolari famiglie di superficie a famiglie più generali.


§ 25. Postulati della Geometria proiettiva.

Abbiamo mostrato come i postulati che stanno a base della teoria del continuo, costituiscano condizioni per la possibilità di unire associativamente, nei concetti astratti della linea e della superficie, le varie rappresentazioni genetiche ed attuali che vi si collegano. La nostra critica ha in pari tempo posto in luce una certa indeterminatezza di quei concetti generali, dipendente dalla loro relatività, per cui si manifesta necessaria una costruzione progressiva, la quale ponga innanzi alcune linee e superficie particolari, e muova da queste ad estendere via via i concetti già definiti.

Questa necessità lascia scorgere, in un certo senso, l’ufficio di quella evoluzione, per cui le sensazioni particolari della vista e del tatto speciale, si differenziano dalla generale sensibilità tattile-muscolare, in ordine all’acquisto delle rappresentazioni di spazio.

Il procedimento della visione mette innanzi, fra tutte le linee, la retta; ed unisce nel concetto di essa due rappresentazioni ben distinte: distinte fra loro e dalle altre rappresentazioni lineari.

La retta si palesa infatti, come linea, non passante pel centro della visione, le cui proiezioni sono rette, e come linea (o raggio visuale) passante pel centro suddetto, che veduta da un occhio dà come immagine un punto.

Ora l’associazione di queste due rappresentazioni suppone la esistenza di una linea, la quale sia veduta da ogni suo punto come un punto solo, ed involge quindi il postulato di determinazione della retta: due punti appartengono ad una linea retta che è ugualmente determinata da altri due punti qualunque di essa.

Sieno infatti A, B, C tre punti di una retta, la quale venga guardata dal suo punto A, e sia T l’immagine retinica (o traccia sul piano della retina) della retta medesima. Il punto T è in questo caso l’immagine tanto di B come di C. Quindi la retta AB viene otticamente definita come il luogo dei punti le cui immagini cadono in T (immagine di B), e la retta AC parimente come il luogo dei punti la cui immagine cade in T (immagine di C).

Alla stessa definizione corrisponde, per il principio d’identità lo stesso ente, cioè: