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le adunanze venisse cogl’incensi e colle offerte adorata. Ordinò anche che tutti i magistrati romani e pubblici sacerdoti innanzi a que’ dii, de’ quali son soliti di fare ricordanza ne’ sagrifizj, ponessero il nome del suo dio Eliogabalo. Di maniera che, venuto che fu in Roma, non apparve nuovo alla vista de’ romani che avevano già fatti gli occhi al suo ritratto.

Avendo dunque presentato il popolo de’ consueti donativi, come sogliono fare quei che assunti sono all’imperio, si occupò dipoi a festeggiare con magnificenza grandissima ogni spezie di spettacoli. Edificò per anche un assai bello e grandissimo tempio al suo dio con infinità di altari all’intorno, entro i quali ogni mattina scannava centinaja di tori e moltitudine senza numero di pecore: e, dopo avervi ammucchiata ogni maniera di preziosissimi balsami, vi spargea molte anfore di vino vecchio, il più che vi era squisito, in forma che meschiati insieme per tutto correvano rivi di vino e di sangue. E, ponendosi alla testa de’ cori di damigelle fenicie danzeggianti a corona al suono di una strepitosa musica istrumentale, accompagnata da loro con cembali e timpani, gli volgea in giro attorno gli altari, alla presenza dell’intero senato e dell’ordine de’ cavalieri, che come da un teatro lo riguardava no. Quindi racchiusi entro vasi d’oro