Pagina:Ferrero - Appunti sul metodo della Divina Commedia,1940.djvu/156

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necessità persuasiva e dolce che hanno nella natura e di quella imprevista armonia che hanno nella pittura.

Quello che si sente infelice in noi è l’immaginazione, che con dinanzi delle macchie bianche e nere poteva ricostruirsi facilmente e felicemente una scintillante scala di colori. La prima suggestione, la prima integrazione del cinema, i colori resi con delle ombre, è mancata.

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A Parigi ho visto proiettare due film: una del 1910 e una del giorno d’oggi. In quella del 1910 gli attori, invasi dalla paura di non farsi capire abbastanza, gestivano, più che per esprimere uno stato d’animo, per farne una dimostrazione figurativa; così, per far capire che pensavano a un oggetto, puntavano l’indice contro la tempia e poi lo tendevano verso l’oggetto. Il cinema era già un’arte; ma un’arte in cui non s’era raggiunta la bellezza. Quando Chariot, nella Febbre dell’oro, per l’impaccio di un vec chio mendico che lo guarda, non sa mettere in tasca una fotografia, che ha trovato per terra, la bellezza cinematografica è raggiunta, perchè, senza parlare, senza uscire dai limiti concessi a un attore, che deve farsi capire con la pura mimica, senza apparentemente uscir dai limiti

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