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di gli ammaestramenti di tutti gli esempi posti nelle illustri memorie; e di lì impari ciò che devi imitare per te e per la repubblica, e ciò che devi evitare perchè brutto negli inizi e nei risultati... O l’amore della mia opera mi illude, o non fu mai una repubblica più grande, o più saggia, o più ricca di esempi, ove così tardi entrassero l’avidità ed il lusso, ove tanto e così largamente fosse onorata la povertà e la parsimonia, e tale che quanto meno i suoi cittadini possedevano tanto meno desideravano ».

Posto questo proposito, si spiega come, resistendo alla fretta dei suoi lettori, impazienti di arrivare alla storia recente, Livio incominci la sua opera rammentando minutamente le origini favolose di Roma, sebbene, anzi appunto perchè le sa favolose. « Io credo — dice egli ancora nel proemio — che i primi principî e le cose vicine a quei tempi non divertiranno la maggior parte dei miei lettori, parendo loro mill’anni di giungere a queste ultime novità, per cui stanno morendo le forze di quello che fu il più gagliardo popolo del mondo. Ma io voglio invece anche questo come premio della mia fatica, che mentre con tutto l’ardore andrò ripetendo quelle prime cose antiche, allontanerò il mio pensiero dai mali di questa età; e sarò libero da quella preoccupazione, che se non può distogliere dal vero l’animo di chi vive, può però renderlo travagliato. Non è mia intenzione nè confermare nè rifiutare quel che si raccontò sui tempi della fondazione di Roma, seb-

FERRERO. - La Palingenesi di Roma. 2