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sonetti. 121


LXXIII.

OGNUNO PE' SÉ.


     Sora Nèna?1 — Chedè?2 — Dico, scusate....
— Volevio gnente a me,3 sor Sarvatore?
— Dico, chedè sta razza de rumore
Che se sente quassù? Dico, che fate?

     Che se discurre4 che sarà un par d’ore
Che se senteno bòtti, bastonate....
Manco se stassi5 in piazza!... Eh, ve sbajate:
Nun è qui; so’ li fiji der sartore,

     Che6 io je subbaffitto du’ stanzette;
So’ in tre, stann’a giocà.... — Giòcheno, dite?
Se tratta che quaggiù nun se connette.

     Ma, dico, nun c’è ’r padre, eh, sora Nena?
— Lu’ sta a spasso — E su’ moje? — Eh, lei, capite?
A st’ora qui dà un zompo7 a la novena.



  1. Maddalena.
  2. Che è?
  3. Volevate niente a me? Cioè: «Cercate forse di me?»
  4. Si discorre, si tratta.
  5. Si stesse.
  6. Al quale. Efficace idiotismo, frequente anche nel fiorentino. «Veramente, la distruzion de’ frulloni e delle madie, la devastazion de’ forni, e lo scompiglio de’ fornai, non sono i mezzi più spicci per far vivere il pane; ma questa è una di quelle sottigliezze metafisiche, che una moltitudine non ci arriva.» (Promessi Sposi, XII.)
  7. Dà una capatina, direbbe un Toscano. (Zompo, salto: da zompà, saltare.)