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12 un nuovo poeta romanesco.

     Quanno ce so’ de mezzo ommini dotti,
Sora commare mia, questo j’approvi1
Che quer che fanno nun pò annà a cacchiotti.2

Nato sotto questi auspici e cresciuto poi nella dimestichezza de’ due poeti, parrebbe che il nostro Ferretti si fosse dovuto mettere a far versi fin dall’infanzia. Eppure non fu così. Egli è arrivato alla quarantina, senza mai commettere peccati poetici. Io però avevo notato in lui un gusto veramente squisito, per il modo inarrivabile con cui recita i sonetti del Belli, che richiedono mille modulazioni di voce e atteggiamenti di fisonomia e mimica variabilissima, e tutto dal vero. Questo modo il Ferretti lo imparò forse dal Belli stesso, il quale era sempre nobile e contegnoso, ma nel recitare i propri sonetti si trasmutava in tante forme diverse, che il barone Achille Sansi, dotto e arguto ingegno spoletino, lo andava assomigliando al cappello d’un pagliaccio.

Del recitar bene questo genere di componimenti allo scriverli ugualmente bene, non c’è che un passo; e se la ragione non ne fosse per sè stessa evidente, lo proverebbe il fatto che nessuno li ha mai recitati con tanta maestria come il Belli medesimo, che perciò era desideratissimo perfino da monsignori e cardinali! Il nostro Ferretti ha fatto que

  1. Gli (le) provi.
  2. Non può andar male. Cacchiotti, eufemismo, in vece di cazzotti.