Pagina:Ferretti - Centoventi sonetti in dialetto romanesco.pdf/36

Da Wikisource.
26 un nuovo poeta romanesco.

l’autorità di Dante Alighieri è bastata per mutare il cosa fatta capo ha in capo ha cosa fatta.1

«Sarebbe,» ha detto un valentuomo, il professore Ferdinando Santini, «sarebbe il compito più facile del mondo (laddove è difficilissimo) lo scrivere in dialetto, quando ne fosse lecita ogni trasposizione di parole, ogni sorta di aggiunti, d’epiteti, d’accessorii ed ogni piegamento di costrutto; e il vernacolo riponesse tutto il suo carattere nello storpiare delle parole, e nelle uscite da trivio. Il popolo va sempre, e in tutto, diritto a fil di logica, e fa talora qualche trasposizione, ma là solo dove la forza del suo sentire lo richiegga, non dove la rima o il rito e la convenzione rettorica lo voglia e lo conceda. Al primo apparire di questi difetti, il popolo col suo vernacolo sparisce, e vien fuori la meschina rachitica figura dell’umanista, in tanto men sopportabile, in quanto che non parla in quel caso il linguaggio di nessuno.»

Ecco qui, per esempio, il dott. Augusto Marini,

che ha pubblicato da poco Cento sonetti in vernacolo,2 e che avrebbe eccellenti qualità, specialmente


  1.     Gridò: Ricordera’ti anche del Mosca,
    Che dissi, lasso! Capo ha cosa fatta,
    Che fu il mal seme per la gente tosca .

    Inf. xxviii.

    Si vedano a questo proposito le giuste osservazioni che fa lo Zendrini, nel suo Discorso Della lingua italiana (Palermo, 1877).

  2. Roma, E. Perino editore, 1877.