Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/211

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Son di trent’anni e piú c’han loro forme,
non d’uomini com’eran, ma di belve;
van per le folte macchie, e con difforme
muggito fan sonar e monti e selve.
In questo tempo alcun pastori, a Torme
cercando, han téma ch’ivi non s’ inselve
de’ porci una lor greggia e sian squarciati,
come sovente avien, da quei famati.
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Ma come vider loro uscir di tomba,
tornano al poggio e stan mirar da cima.
E Cristo, pura e semplice colomba,
va contro gli uccellacci e poca stima
fa di lor aspro suono, il qual rimbomba
si d’ogn’ intorno e si va su da l’ima
valle a l’altezza de’ pendenti sassi,
che gli uomini scampando han Tale ai passi.
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Eran ignudi e neri come corbi ;
gli occhi di fuoco e ascosi ne la fronte
volgono brutti sguardi e d’ira torbi,
e sol correndo agli arbori fann’onte.
Il Medico gentil, che questi morbi
ed altri sa curar con le man pronte,
lor tenne al segno in quella guisa e modo
che mobil’asce tien confitto chiodo.
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Or mille e mille spirti maladetti,
piú assai che ’n vecchio pin non van formiche,
stridean piú forte ancor, perch’eran stretti
d’abandonar lor nidi e stanze antiche.
Dicono in voce amara: — E perché affretti
si l’opre inanzi tempo e tai fatiche
ci dai, figliuol di Dio? C’hai tu far nosco?
Lasciaci star nel nostro antico bosco !