Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/77

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8
Inutil fu la pace tra’ mortali,
che sotto empio monarca si nudriva
d’ocio, avarizia e d’infiniti mali,
stando Vertú in disparte sola e schiva.
Ma peggio fu che gli angeli infernali,
ne’ corpi del metallo e ’n pietra viva
adorati da noi, con mille frodi
spenser del divin culto i riti e modi.
9
Né Roma pur, ma tutto ’l mondo seco
nuotava in questo abominevol puzzo.
Consecrava gli altari l’uomo cieco
a l’Asino, al Montone, al Cane, al Struzzo.
Che dir si può di quel facondo greco
filosofo gentil, che de l’aguzzo
nostro latin, che del savio d’Egitto,
se tutti avean quel scorno in fronte scritto?
10
Sol tu, Giudeo (come che duro, ingrato
fosti al Dator de tanti beni e tanti),
eri per vano e stolto suggellato
da Roma e da que’ suoi gonfiati manti,
perché tu sol religion, tu stato
diverso avei da Bacche e Coribanti,
perché ’l prepuccio inciso e bagni e dapi
tenesti a piú che Stércoli e Priapi.
11
Quei Cati, Sergi, Gracchi, Scipi e Fabi,
nati a dur’elmi piú ch’a molli plettri,
saputamente a greci, parti, arabi,
galli, african tolser di man lor scettri.
Pur non vedean negli occhi a sé le trabi,
dico gli augúri, sogni ed altri spettri,
e givano beffando alcune schegge
nei lumi a chi da Dio preser la legge;