Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/114

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100Cosi il tuo nome, uscito fuor d’un’ima
ed illodata valle, e la beltade,
che in ciel ti diedi, alzai fuor d’ogni stima
Gloriar ben ti potei, che in nulla etade
donna fu mai che ascender nel cubile
105mio sacrosanto avesse libertade.
Ma tanta mia leanza e amor gentile
tu, perché vana sei, pigliasti a nausa,
s’io fossi a tua grandezza cosa vile.
Or di buttarti in occhio facciam pausa,
no Vengo si non a merti tuoi, ma quale
riconoscermi almen per te sta in causa.
Trovandoti giá tutte ornai le scale
aver salito degli onori e fasti,
per anco andar piú suso apristi l’ale.
115Tali pensier non escon, no, che guasti,
mal convenendo meco, vanno e sparsi,
e tornan biechi e impuri, ch’eran casti.
Tosto che i guardi tuoi non furon scarsi
agli amator, che a schifo avesti, ecco
120negli occhi miei gli adúlteri comparsi.
Qual tortorella che al suo verde stecco,
dove s’annida il dolce caro pegno,
ri volando gli arreca il pasto in becco;
ma, giunta, vede il nido, che fu pregno
125del car tesor, star vóto, e la consorte
non piú mai riede al rifiutato regno;
l’ésca le cade dalla bocca, e, forte
stridendo, al secco ramo, al rivo torbo
si riconduce, geme e chiama morte:
130mira sul tronco d’un amaro sorbo
starsi quel crudo vorator de’ figli
con la lor madre a canto, brutto corbo:
tal la mia grazia, mentre ti scompigli
dal nido e dolce parto a noi commune,
135trova il fier guasto de’crudeli artigli.