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366 nota


Malgrado queste comminatorie, Pietro Ravani ristampò due volte l’edizione di Vigaso Cocaio: nel 1554 e s. a.; il Varisco la reimpresse nel 1561, corredandola di rozze xilografie («nunc recens accurate recognita cum figuris locis suis appositis: Venetiis, apud Ioannem Variscum et socios, MDLXI»).

Queste edizioni di Vigaso Cocaio giovarono immensamente alla fama del Folengo in Francia e in Italia: l’una di esse cadde tra mani dell’anonimo, geniale scrittore a cui si deve la versione francese del Baldo e della Moscheide, comparsa nel 1606 col titolo: Histoire macaronique de Merlin Coccaie, prototype de Rabelais... Paris, chez Toussaincts du Bray (ristampata dal bibliofilo Jacob, Parigi, 1859, 1876, ed. Garnier, con ommissione della Moscheide). Quel traduttore francese conosceva mediocremente l’italiano e non era affatto in grado di cogliere molte peculiarità dialettali delle Maccheronee: pure aveva un intuito cosí meraviglioso del carattere poetico del Folengo, ch’egli ne ha reso in complesso perfettamente lo spirito, se pure ha tradito troppo di sovente la lettera.

Ma la fortuna maggiore dell’edizione di Vigaso Cocaio fu d’esser prescelta da Francesco de Sanctis, che se ne valse per dettare il suo stupendo capitolo decimoquarto della Storia della lett. it.: insuperata e definitiva valutazione dell’arte (se non in tutto, delle tendenze politico-religiose) del Folengo.

Come mai invece la critica erudita s’impuntò a gabellare per una ciurmeria l’edizione di Vigaso Cocaio? (cfr. ciò che io pure ne dissi nel Giorn. stor. d. lett, it., XIV, 395). La spiegazione è presto detta: fu attribuita soverchia importanza a circostanze esterne; non si penetrò abbastanza ne’ pregi intrinseci dell’opera d’arte, che portava in sé il suggello più luminoso dell’autenticità.

Vigaso Cocaio premise alla sua stampa una pappolata (cfr. Appendice I), che è davvero un impasto di inesattezze e di incongruenze. Si spaccia per maestro del poeta (un maestro di longevità privilegiata, che sorvive al discepolo); e narrandone la vita, a farlo apposta, accumula errori su errori precisamente intorno a quel periodo giovanile in cui il Folengo l’avrebbe avuto ai fianchi per mentore. Come roba propria egli ha poi inserito in quel pasticcio di prefazione la lettera di Niccolò Costanti, posta in fine alla Cipadense, dove si strombettano esagerate lodi del Folengo, proclamato superiore a Virgilio, a Dante, al Petrarca.

Se a ciò s’aggiunga che qua e lá talune modificazioni non paiono a prima vista plausibili; che nel libro XXII non si trovano più