Pagina:Folengo - Opere italiane, vol. 1, 1911 - BEIC 1820955.djvu/214

Da Wikisource.
208 caos del triperuno

TECNILLA.

O temeraria ed arrogante! mira
come si gonfia questa fabbra vile!
Qual giudice sará tanto sottile,
che nostra lite concia? dimmi, è Pira? [Onmium artium experientia iudex videtur.]
dico quell’altra de le prove mastra,
che, come tu, vantandosi va ch’io
cosa che vaglia senza lei non spio,
e di Almafisa appellami figliastra.

ANCHINIA.

Vantarsi drittamente può qualunque
trovasi aver servito qualche ingrato;
ché quanto ben è in te non l’hai trovato
se non per il suo mezzo. E pur, ovunque
esser ti trovi, ch’altri non conosca
l’astuziette tue donde prevali,
ti fai sí grande che, s’avessi l’ali
cosí d’ogni altro augel com’hai di mosca, [Ars comparatione naturae musca est ad aquilam.]
egual salir vorresti al gran Monarca;
lo quale sol vòl essere, che senza
sian l’opre sue d’alcuna esperienza,
ove egli pienamente e ratto varca.

TECNILLA.

Di me medema meco mi vergogno,
trovandomi altercar con essa teco!
Hai forse il capo tepido di greco,
ubriaca che tu sei? ch’ancor bisogno
farotti aver del tempo, c’hai qui speso
in dirmi oltraggi, meretrice lorda!