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118 ii - ultime lettere di iacopo ortis


ha recato due fogli tutti umidi di rugiada; e questa mattina mi raccontava che il rimanente era stato stracciato dal cane dell’ortolano.

Teresa mi sgrida: per contentarla mi pongo a scrivere; ma, sebbene incominci con la piú bella disposizione del mondo, non so andar innanzi per piú di tre righe. Mi propongo mille argomenti; mi s’affacciano mille idee: scelgo, rigetto, poi torno a scegliere; scrivo finalmente; straccio, cancello, e perdo qualche volta un’intera giornata: la mente si stanca, le dita abbandonano, loro malgrado, insensibilmente la penna, e mi avveggo d’aver gettato il tempo e la fatica.

La pazza figura ch’io fo, quand’ella siede lavorando ed io leggo! M’interrompo ad ogni tratto, ed ella: — Proseguite! — Torno a leggere; dopo due carte la mia pronunzia diventa piú rapida e termina borbottando in cadenza. Teresa s’affanna: — Leggete un po’ meglio. — Io continuo; ma gli occhi miei, non so come, si sviano poco a poco dal libro e si trovano frattanto immobili su quell’angelico viso. Sto muto: cade il libro e si chiude; perdo il segno, né so piú ritrovarlo.

Ma pure..., se potessi afferrare tutti i pensieri che mi passano per la mente! Mi sono provveduto di un lapis e ne vo tratto tratto segnando qualcuno su le coperte o sui margini del mio Plutarco.

O tu, che disputi tranquillamente su le passioni! se le tue fredde mani non trovassero freddo tutto quello che toccano, se tutto quello ch’entra nel tuo cuore di ghiaccio non divenisse tosto gelato, credi tu che vanteresti con tanta baldanza la tua severa filosofia? Or come puoi ragionare di quello che non conosci? e come, d’altronde, il mio spirito, quand’è agitato, sará responsabile della sua condotta?...

Un suo bacio!...

E allora io le stringo la mano, la bacio, me la pongo sugli occhi, e vi appoggio sopra le guance.

Eterno Padre della natura! ben tu punisti lo stoico, negandogli i piaceri inesausti del sentimento. «Se vedi alcuno addolorato e piangente, non piangere!». Infelice! e non sa che le