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vi - orazione a bonaparte 235


prodighi di danaro, quasi semenza in letame...; orribile mistura e di vizi e di nomi e di vitupèri; ed al secolo infamia, e alla terra che li sostenne!... ma necessario stromento alle scelleraggini del governo e alla tirannide degl’invasori. E taluni, armati di tutte arti, dittatori anche delle lettere siedono; onde dalle cisalpine universitá esiliate vernano la greca e la latina lingua, e le muse meretrici di ciurmadori, e i supremi ingegni depressi, e da’ licei gli antichi professori cacciati da chi surse maestro di scienza, di cui non fu discepolo mai; specchio a’ dotti uomini, che (tranne la gloria) emolumento di lunghe vigilie si aspettano! Né paghi della persecuzione contro a’ viventi, osano con censoria autoritá cacciare le mani nelle sepolture di Virgilio e di Orazio e di que’ divini poeti, e conturbarne le ossa, predicandoli adulatori d’Augusto e indegni di liberissime menti... Ahi, ciurma! ahi, libera nel mal fare! e non ti vegg’io, fetida di adulazione e di benefici, non ammansare con celesti carmi il monarca dell’universo, ma con rimate vandaliche ciance blandire i rimorsi di pochi vacillanti tirannucci; sicché, se modo omai non si muta, e’ ci dorrá di essere appellati «italiani». Pompeggiano intanto costoro e ne’ tribunali e ne’ ministeri, e chi segretario de’ magistrati e delle legazioni, e chi prefetto nelle cittá, e chi sopraintendente a’ teatri ed agli spettacoli, e chi questore di eserciti, e chi su le cattedre de’ licei; esultando tutti fra le deluse speranze di benemeriti cittadini e di magnanimi giovani, che, per mostrar di sudori e di cicatrici e d’illibati costumi e di studi, non altro mercano che ripulse, per cui, fuggendo dalla patria matrigna con le mani vuote al petto, si ascondono. Ché riesce espediente preporre all’erario, all’ambascerie, all’annona, alla interna vigilanza ed alla milizia insufficienti ministri, tutto cosí impunemente invadendosi dal governo.

E il commercio, magnifica sentenza de’ moderni politici, nella repubblica universalmente fioriva, non giá nel lusso civile o nello spaccio delle derrate: merce de’ trafficato fu sempre la povertá dello Stato, la quale, riparata con usure ognor raddoppiate e provocate forse, palliata veniva ed esulcerata ad un tempo, talché ogni debito spento uno piú grave ne raccendea; dote le