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vi - orazione a bonaparte 239


seduta sopra quelle stesse rovine, scriverá: «La sorte stava contro l’Italia, e Bonaparte contro la sorte: annientò un’antica repubblica, ma un’altra piú grande e piú libera ne fondava».

E giá veggo rinate nello Stato cisalpino quelle leggi per cui Venezia fu un tempo reputata immortale; non leggi licenziose, non mantici agl’incendi della plebe, ma fatale muraglia alla invasione degli ottimati. Correggeranno e la povertá estrema, che persuade sempre la schiavitú, e le immani ricchezze, scala al trono e alla oligarchia. Uomini siamo pria di essere cittadini, e prepotenti in noi regnano le supreme necessitá della natura ed il furor del potere; onde la famelica moltitudine per la vita vende la libertá, e i pochi opulenti comprano la patria, quando tutto può essere comperato dall’oro. Queste due mortali infermitá di tutti gli Stati liberi allontanarono da’ suoi principi la repubblica veneta, la quale, di popolare divenuta aristocratica, col volger degli anni e delle ricchezze a cader venne nelle mani di pochi, ed il governo si fondò nel terrore de’ patrizi, nella ignoranza de’ cittadini e nella corruzione squallida della plebe.

Quindi tua prima cura è la giustizia, nella quale ogni virtú, ogni possanza ed ogni gloria è riposta, e che sola fa prosperare le pubbliche e le private sostanze. I bisogni piú gravi assai dell’entrate, le militari estorsioni e le infedeltá di chi ne reggeva, hanno perduta la pubblica economia, rotta ogni fede sociale, angariata l’agricoltura, vera nostra ricchezza, avvilita la onesta industria, prodotte al sommo le usure, e tutti i cittadini ridotti nemici taciti dello Stato. Ma l’allontanamento degli eserciti stranieri, il patibolo agli incliti ladri, l’entrate pareggiate a’ bisogni restituiranno l’ordine pubblico, e la fede del governo verso il popolo ricondurrá la reciproca fede ne’ cittadini; talché, rassicurate veggendosi ciascheduno le proprietá, piú certi saranno ad un tempo i sussidi per lo Stato, e meno urgenti, meno scarsi e piú equi i contratti nel civile commercio, meno avvilite per la celere diffusione e riproduzione dell’oro le derrate; e cosí rianimato il sacro agricoltore, riconfortato lo spavento, che, tenendo seppellito il danaro, affama le arti e fa inutile e disperato