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272 iv - seconda edizione delle


diventar sapientone, acciocché tu non vada ognor predicando ch’«io mi perdo in pazzie». Per altro bada di non volermiti opporre quando mi verrá voglia d’andarmene; perché tu sai ch’io sono nato espressamente inetto a certe cose, massime quando si tratta di vivere con quel metodo di vita ch’esigono gli studi, a spese della mia pace e del mio libero genio o, di’ pure, ch’io tei perdono, del mio capriccio. Frattanto ringrazia mia madre, e, per minorarle il dispiacere, cerca di profetizzare, cosí come se la cosa venisse da te, ch’io qui non troverò stanza per piú d’un mese o poco piú.

Padova, 11 dicembre.

Ho conosciuta la moglie del patrizio M***, che abbandona i tumulti di Venezia e la casa del suo indolente marito per passare gran parte dell’anno a Padova. Peccato! la sua giovine bellezza ha giá perduta quella vereconda ingenuitá, che sola diffonde le grazie e l’amore. Dotta assai nella donnesca galanteria, cerca di piacere non per altro che per conquistare: cosí almeno giudico. Tuttavolta, chi sa! Ella sta con me volentieri, e mormora meco sottovoce sovente, e sorride quand’io la lodo; tanto piú ch’ella non si pasce, come le altre, di quell’ambrosia di freddure chiamate «bei motti» e «tratti di spirito», indizi sempre d’un animo maligno. Ora sappi che ier sera, accostando la sua sedia alla mia, mi parlò d’alcuni miei versi, e, innoltrandoci di mano in mano a ciarlare di poesia, non so come, nominai certo libro di cui ella mi richiese. Promisi di recarglielo io stesso stamattina. Addio: s’avvicina l’ora.

2 ore.

Il paggio m’additò un gabinetto, ove, innoltratomi appena, mi si fe’ incontro una donna di forse trentacinque anni, leggiadramente vestita, e ch’io non avrei presa mai per la cameriera, se non mi si fosse appalesata ella stessa, dicendomi: — La padrona è a letto ancora: a momenti uscirá. — Un campanello la fe’ correre