Pagina:Foscolo, Ugo – Prose, Vol. I, 1912 – BEIC 1822978.djvu/287

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ultime lettere di jacopo ortis 281


del sole, a costo ancora che la notte rapisse il dí innanzi sera? Che s’io dovessi far sempre la guardia a questo mio cuore prepotente, sarei con me stesso in eterna guerra, e senza pro. Mi batto a corpo morto, e vada come sa andare. Intanto io

          Sento l’aura mia antica, e i dolci colli
          veggo apparir!1

10 gennaio.

Odoardo spera distrigato il suo affare tra un mese: egli scrive. Tornerá dunque, al piú tardi, a primavera. Allora sí, verso i primi d’aprile, crederò ragionevole d’andarmene.

19 gennaio.

Umana vita? Sogno, ingannevole sogno, al quale noi pur diam sí gran prezzo, siccome le donnicciuole ripongono la loro ventura nelle superstizioni e ne’ presagi! Bada: ciò, cui tu stendi avidamente la mano, è un’ombra forse, che, mentre è a te cara, a tal altro è noiosa. Sta dunque tutta la mia felicitá nella vota apparenza delle cose che mi circondano; e, s’io cerco alcunché di reale, o torno a ingannarmi, o spazio attonito e spaventato nel nulla! Io non lo so...; ma, per me, temo che la natura abbia costituita la nostra specie quasi minimo anello passivo dell’incomprensibile suo sistema, dotandone di cotanto amor proprio, perché il sommo timore e la somma speranza, creandoci nella immaginazione una infinita serie di mali e di beni, ci tenessero pur sempre occupati di questa esistenza breve, dubbia, infelice. E, mentre noi serviamo ciecamente al suo fine, ride ella frattanto del nostro orgoglio, che ci fa reputare l’universo creato solo per noi, e noi soli degni e capaci di dar leggi a tutto quello ch’esiste.

  1. Petrarca.