Pagina:Foscolo, Ugo – Prose, Vol. I, 1912 – BEIC 1822978.djvu/34

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28 i - scritti vari dal 1796 al 1798


in Italia l’antico entusiasmo di indipendenza. Né taceremo che tale asserzione sente di vanitá nazionale, giacché, tranne Alfieri nome divino, rimpetto a cui piú non ostenta il suo Cornelio la Francia, né l’Anglia l’originale suo Shakespeare; tranne Alfieri, chi osò fulminare i monarchi colla veritá? chi si pose al loro livello, perseguitandoli colla penna, mentre essi perseguitarono gli uomini liberi colla forza? Né un Tirteo, né un Aristofane noi abbiamo; anzi, contaminate le scene, prostituite le muse, spettacolo di rossore offrirono i nostri poeti: sublimi, se impresero a magnificare i tiranni, a coronare il delitto; bassi, se tentano di ritessere inni alla libertá, di proteggere le virtú. E i piú dei poeti di questo secolo tacquero, attirandosi forse piú laude che taccia. Dopo secoli di sciagure ponno soltanto avvedersi gli uomini della veritá; e ben forse gl’italiani, che ai tempi di Roma semplice e rozza liberissimi e formidabili furono, a’ tempi di Roma culta e studiosa schiavi e corrotti si videro; gl’italiani forse s’avvedono che, se un popolo illuminato svela le arti tiranniche, un popolo guerriero soltanto può abbatterle, e mal si confanno i molti studi e le lettere alla repubblicana austeritá ed alle militari fatiche. Ma, passando al soggetto, pare all’autore dell’introduzione che, acciò nessun’arte manchi al presidio della repubblica, riman solo a desiderarsi che sorga un massimo ingegno ravvivatore dell’epopeia, il quale, purgandola dalle fatuitá mitologiche, dalle arroganze servili, dalle superstiziose ferocitá, l’animi e inciti ad esprimere i sensi arcani di libertá con quelle tinte gagliarde e cupe con cui l’Alighieri percosse la frode guelfa e la papale avarizia. Ma quale mai non deve essere la sublimitá e l’energia necessaria a tanta intrapresa? Egli è mestieri di un uomo, cui la natura avesse infuso nell’anima il senso sacro di libertá nell’abiezione della fortuna, perché potesse nell’urto serbarlo vivido ed attuoso contro ogni vana lusinga; che, nato nella tirannide, tutto ne avesse potuto sentire il peso nello splendore dell’innocenza per tratteggiarne le marche livide con veritá di espressione e con forza di sentimenti; cui fosse stata nei giorni di schiavitú costantemente ignota la colpa, ma, piú della colpa, ignota l’adulazione, affinché