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ix - difesa di vincenzo monti 69


sapeano sollevarsi sopra la loro venale vanitá. Ecco la fonte delle sventure di quest’uomo, la di cui gloria crescente provocava la invidia, che, piú invecchiando, divenia piú tenace e piú famelica di vendetta, non senza speranza di saziarsene, in una cittá ove il favor de’ potenti si conseguia co’ delitti, e la propria fortuna con l’altrui precipizio. Quindi il Monti, e per la sua indole indocile e per le trame cortigianesche, si meritò lo sdegno di Pio sesto, uomo d’ambiziosi disegni, ma di mente puerile e di cuore villano, e mecenate delle arti non perché ne gustasse la bellezza, ma perché si gonfiava delle adulazioni degli artisti. Ma in tale stato, ognor periglioso, il Monti non fu egli sempre buon padre di famiglia, non fu amico leale, non fu caldo o fors’anche incauto amatore di libertá? Io n’attesto la fede di quanti allora viveano in Roma; io scongiuro gli stessi nemici del Monti a provare fra i suoi domestici fatti taluno che smentisca le mie asserzioni. Allora io sgannerò me medesimo, dolendomi della credenza prestata a tale, che, convissuto lunghi anni col Monti, narrommi le sue virtú senza tacerne i difetti. Frattanto il Monti sará per me rispettato e caro fin che avrò per certo ch’ei primo corse a sciogliere le catene a Liborio Angelucci1 con pericolo di aver comune la prigionia, ch’ei fu l’amico de’ pochi ottimi repubblicani di Roma, e ch’ei non attese compiute le vittorie de’ francesi per lanciarsi (abbandonando un dovizioso appannaggio) nella rivoluzione italiana, sicuro di dover quivi combattere con la prevenzione e con la povertá, gran tempo innanzi la pace di Campoformio, quando dubbia era ancora la libertá della Italia.

  1. Ora consolo di Roma, ed allora detenuto in Castel Sant’Angelo, perché pensava liberamente. Quest’uomo stesso dedicò la edizione del Dante impressa a Roma nel 1794, al prelato Caraffa, attualmente dannato all’esilio. Ché, se il Monti non fosse allora stato secretario del nipote del papa, non avrebbe certo sfuggita la pena, nella quale incorsero tutti que’ romani che al governo sembravano complici dell’Angelucci [F.].