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iii - frammenti su lucrezio 199


alle prove. Tutti i moralisti dicono ciò che si deve fare o non fare; non dicono il come. Onde que’ tanti insultatori di morte, spesso nelle disavventure non solo ogni giorno di vita [comprano] con altrettanti giorni di pianto, ma si volgono superstiziosi alla religione, che nella felicitá disprezzavano. Questa guerra fra la dottrina e le azioni deriva, perché, armandoci di tutti gli argomenti che ci fanno disprezzare la morte, non sappiamo spogliarci delle passioni che ci fanno amare la vita; gli argomenti sono ne’ libri, e le passioni nel cuore; e queste prevalgono.

Ma Epicuro dá per sicura norma, onde liberarci dallo spavento della morte, il freno di quelle passioni per le quali noi bramiamo la vita. Quando il timore del disprezzo, la libidine delle ricchezze e delle voluttá, l’insaziabile furore del potere e degli onori sono elementi della vita, noi dobbiamo a tutto potere accarezzarla, perché, morendo noi, morrebbero tutte le speranze di soddisfare le nostre passioni. Onde dai riposati costumi degli epicurei nasce anche la tranquillitá della morte. E, poiché dal timore del sepolcro derivano tutte le inquietudini umane, Lucrezio in questo libro prova la mortalitá dell’anima, e la necessitá quindi di godere soavemente della vita, mentre, dopo morti, ritorniamo a rimescolarci nella materia. Il non esservi altro mondo dopo questo, toglie ogni principio di religione, alla quale sogliono rifuggire i mortali nelle loro disavventure.

Ma questa dottrina è anch’ella fondata sopra i ragionamenti dell’intelletto, ma non può essere in concordia con la nostra natura. Se gli uomini fossero senza numi, perderebbero certamente molti timori e molte speranze, e dovrebbero o abbandonarsi alla noia, fierissimo de’ mali, o alle speranze e a’ timori delle altre passioni. Non considerando la religione come stromento politico, ma come cosa interamente morale, dico che sono tante le avversitá, alle quali, volendo o non volendo, soggiacciono, che, se togli la religione alla filosofia, rari potranno goderne i frutti. Per la universalitá gli dèi sono terrore, ma sono piú sovente consolazione: anzi non possono atterrire che i pochi scellerati e possenti; ma consolano i deboli ed infelici, i quali fra le miserie