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50 CAPITOLO III

tagne di Parma e di Piacenza annota de quali quand’io facevo il gran cavallo di Milano me ne fu portato un gran sacco nella mia fabbrica da certi villani (1). Ma i ricordi dei contemporanei e degli storici a loro più vicini non si accordano fra loro nei particolari, e qualche descrizione stessa generale del « tipo » del cavallo non si accorda coi disegni rimastici. Il Giovio ci parlò di un cavallo colossale «in creta da fondersi susseguentemente in bronzo.... Ammirasi in questo travaglio la veemente disposizione al corso e lo stesso anelito» facendo pensare a qualcuno a un primo modello del cavallo in atto di correre o in atteggiamento vivace. I più, parlando del cavallo, lo dissero senza cavaliere. Pietro Lazzarone invece nel suo poema De nuptiis imperatoriae majestatis vi ricordò anche il cavaliere: Sfortiae Franciscus.... portatus equo.

Ma quelle spesso ampollose dissertazioni apologetiche vanno prese con molta cautela, quali documenti storici. Limitiamoci a ricordare che nel 1498 Luca Pacioli, nella

lettera dedicatoria al Moro del suo trattato, ci descrisse « l' admiranda e stupenda equestre statua la cui altezza da la cervice a piana terra sonno braccia 12 cioè 37 4/5» e in cui « tutta la sua ennea massa a lire circa 200.000 ascende ». E l’anonimo Gaddiano: Leonardo «fece uno cavallo di smisurata grandezza suvvj il duca Francesco Sforza, cosa bellissima, per gittarlo in bronzo, ma universalmente fu giudicato essere impossibile, et maxime per che si diceva volerlo gittare di un pezzo, la quale opera non ebbe per



  1. «Cod. Leicester», fol. 9, v.; G. Calvi, Introduzione al Cod. Leicester, pag. VII. 1909.