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Fascio Terzo. 207

La curiosità d’imparar leggendo, non è vehicolo à ben apprendere, perche la Scienza, che da’ libri si trahe, è acqua di conserva; quella, che dall’esperienza deriva, è Fonte. 1 Le vedute cose sempre più francamente s’imprimono nell’animo, che le lette, che le sentite; nè s’imparerebbero tal volta gli huomini da quel ch’è scritto: se gli Scrittori non havessero peregrinato per ascrivere quel che noi impariamo. È così certo, che dall’essere alla cognitione si vada, come che dalla cognitione all’essere.

Gli oggetti, che tutt’hora n’appresenti l’apparato d’una Patria, non destano à filosofar di Natura le nostre menti; perche niuna cosa è così mirabile, ch’ogni momento rimirata, non iscemi à poco à poco in noi quella maraviglia, che come disse Platone, dalla Filosofia nacque, nella guisa, che 2 Iride vollero gli Antichi, che di Taumante, cioè dell’Ammiratione fusse figlia. A ben conoscere tal volta le vedute maraviglie d’un forastiero contorno, ò li provati agi d’un paterno distretto, fà di mistieri allontanarsene; perche il bene non mai compiutamente si scerne, se non quando perduto si specula: e la forza della cognitione così nella divisione consiste, come quella di Amore nel congiungimento. 3 Maiora credit de abscentibus, disse Tacito.



  1. Plin. Iun.
  2. Plat.
  3. Tacit.