Pagina:Frezzi, Federico – Il quadriregio, 1914 – BEIC 1824857.djvu/176

Da Wikisource.
170 libro secondo

     — Da tal Signor il mio andar impetro
65— disse Minerva,— ch’io non ho temenza,
quantunque mostri a noi il volto tetro.
     E ’l don, che reco meco, è la scienza,
che non si perde mai quand’io la insegno:
però piú che null’oro è di eccellenza.
     70Palla son io, che a questo loco vegno,
e son dell’arme, d’arti e di scolari
prima maestra e forma d’ogni ingegno.—
     Mamon rispose:— Chiunque vuol, impari,
ché la scienza qui non è di pregio,
75e nulla vale a rispetto ai denari.
     Ma, se veder volete il gran collegio
del nostro Pluto, andate alla man destra,
e ’l mio consiglio non abbiate a spregio.—
     Minerva a lui:— Ognun male ammaestra,
80se pria no’ impara; e mal guida saría
chiunque non sa il cammin, pel quale addestra.—
     Cosí dicendo, non prese la via,
ch’egli avea detto, ma salí s’un’erta,
che ben due miglia d’un monte pendía.
     85Nell’altra valle selvaggia e deserta
Circe trovai, la maladetta maga,
che fa che l’uomo in bestia si converta.
     Con gli occhi putti e con la faccia vaga
losinga altrui e con ridente grifo,
90acciò che l’alme a sue malíe attraga.
     Nella sinistra man tenea un cifo,
il qual empiè di sí brutto veneno,
che ancor, pensando, me ne viene schifo.
     Io vidi un uomo, a cui lo porse pieno,
95diavolo farsi, quand’ella gliel diede,
a membro a membro e l’uman venir meno.
     In piè di cigno in prima mutò il piede
e poi le gambe, e poi d’un babbuino
mise la coda e ’l membro ove si siede.