Pagina:Frezzi, Federico – Il quadriregio, 1914 – BEIC 1824857.djvu/295

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capitolo iii 289

     Ed anco è detta sposa delli dèi,
che son propizi e non corron mai tosto,
ma tardi alla vendetta contr’a’ rei.
     Ell’è che esser fe’ Cesare Agosto
140contra ’l nemico suo giá mansueto,
il qual a tradir lui s’era disposto.
     Ed egli el chiamò seco nel secreto
dentro alla cambra sua cogli usci chiusi,
ove gli disse con parlar quieto:
     145— Non è bisogno, amico, che ti scusi,
ch’è manifesto e non ne puoi far niego
del tradimento, che contra me usi.
     Ma una cosa a te chiedendo prego,
che della tua amistá mi facci dono;
150ed io similemente a te mi lego.
     E ciò c’hai detto o fatto ti perdono.—
E, per piú fede, a lui la destra porse:
cosí ’l fe’ amico a sé verace e buono.
     Questa è, che fe’ ch’Alessandro soccorse
155con gran benignitá al suo vassallo,
quando del suo bisogno egli s’accorse,
     e desmontò de su del suo cavallo,
e del suo manto le membra gli avvolse,
ché uopo non avea d’altro metallo.
     160Traian l’insegne al suo gran carro folse
solo alla voce d’una vedovetta,
al cui parlar mansueto si volse,
     dicendo:— Imperador, fammi vendetta,
ché ’l tuo figliolo il mio figliol m’ha tolto,
165ond’io a lamentarmi son costretta.—
     Ed ei rispose con benigno volto:
— Il mio figliolo, o donna che ti lagni,
ti dono in cambio di quel c’hai sepolto.—
     Cesare primo, il maggior tra li magni,
170li suo’ famigli ovver li suoi subietti
non li chiamava «servi», ma «compagni»,
     facendo a loro onore in fatti e in detti.—