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bri dell’Accademia delle Belle Arti, lo elesse a membro dell’Istituto. Nella seconda Restaurazione trovò realizzate le lusinghe compite dalla prima: morto Martini gli succedette, e con Lesueur disimpegnò l’incarico surriferito. Allora egli ha potuto a tutt’agio dedicarsi esclusivamente a un genere ch’egli prediligeva, e nel quale s’era già distinto colla pubblicazione della sua messa a tre voci. Un gran numero di ammirabili composizioni sacre egli scrisse per la cappella di Luigi XVIII che lo creò cavaliere di S. Michele, e per quella di Carlo X dal quale fu innalzato al grado di offiziale della Legion d’onore. Tutto il mondo musicale conosce le sue messe, preghiere, antifone, i suoi mottetti, i salmi, fra cui la superba messa solenne dell’incoronazione di Carlo X, ove ammirasi la sublime marcia della communione tanto bene definita da Berlioz, ed il primo Requiem a quattro voci principali con coro ed orchestra eseguito per la prima volta ai funerali del duca di Berry, del quale (e per incidenza anche del secondo) informeremo i nostri lettori, adoprando le parole dell’istesso autore delle Sinfonie fantastiche.

I. C.

(Si darà il fine nel prossimo foglio).



LETTERATURA MUSICALE.

IL MELODRAMMA II ITALIA

Cenni storici

(ART. II, vedi il foglio N. 8 di questa Gazzetta)


L’ultima epoca descritta nel nostro articolo precedente sulla storia del melodramma in Italia fu riguardata da’ critici del passato secolo la più felice ed aurea non solo per gli eccellenti maestri che in quella fiorirono, ma perchè anche la poesia lirico-drammatica salì a que’ dì ad eminente, bontà per opera di alcuni egregi scrittori che la nobilitarono quanto a’ soggetti, la migliorarono quanto alla forma, e la resero non meno verso di sè bella di quello che conveniente e gradevole riuscisse accoppiata alla musica. I primi buoni saggi di riforma del dramma lirico furono dati in Francia da Filippo di Quinault, poeta che meritava per verità di essere meno straziato dalla penna velenosa di Boileau. Egli che visse a’ tempi di Giambattista Lulli, portò al melodramma tutte quelle forme migliori e musicabili di che è capace la lingua francese; e dal suo esempio possiamo riconoscere quanto di meglio ne operarono nella loro lingua gli italiani, i quali per dono della natura possedendo un idioma dolce e sonoro, poterono alla più perfetta convenienza colla musica avvicinarlo. Fu dato però bando a soggetti meramente fantastici e favolosi, e al prestigio delle macchine e trasformazioni continue, e in luogo di queste cose s'incominciò a trattare il dramma nella nobiltà degli storici fatti antichi, riducendone l’apparato scenico al maggiore effetto verosimile, imitando per bel modo i costumi, foggiando la rassomiglianza de’ luoghi, e ottenendo così il ragionevole effetto di una illusione tanto più vera quanto meno forzata e prodigiosa.

Allora s’avvidero i poeti e compositori di musica che per una sol via poteva l’arte essere migliorata con gloria di chi vi si adoperasse, e che questa era quella degli affetti e della commozione. Il primo fra’ poeti che seguisse con lode questa via fu Apostolo Zeno antecessore di Metastasio alla corte cesarea; ma il suo genio parea meglio dalla natura essere inchinato alle forti passioni di quello che alle tenere e commoventi, alle quali con maggiore incantesimo suole la musica accoppiarsi. I suoi melodrammi più celebri furono l’Andromeda fra gli eroici, fra i faceti il Don Chisciotte, e fra i sacri, del qual genere con più frequenza e con maggior successo si occupò furono il Sisara, Tobia, Naman, Daniello, Davide umiliato e Gerusalemme convertita. Il suo stile è più da comendarsi dai letterati che dai compositori di musica e la sua lingua è forbita ed elegante anche più di quello che la musica mostri desiderare. Al qual proposito possiamo per esperienza osservare che la musica siccome circoscitta alle diverse combinazioni di sole sette note, in certo modo disdegna che la poesia sfoggi in tutta l’abbondanza de’ vocaboli, nè mai si è veduto poeta nessuno che abbia scritto per musica riuscire a lodevole fine se siasi tenuto prosciolto da certi vincoli e leggi che la musica ad ogni patto richiede. Se poi questo punto di perfezionamento della musica accoppiata alla poesia sia da potersi toccare mercè la mischianza delle forme musicali italiane col grave e severo dell’armonia tedesca, come opinano alcuni dotti contemporanei, sarà a verificarsi in appresso. Nè taceremo che qualche buon saggio rispetto alla musica ne sia già stato dato; solo ci permettiamo dubitarne quanto alla poesia, che oggi vediamo tanto arretrarsi nelle buone forme letterarie e di stile, quanto la musica più procede in questa lodevole fusione.

Ma richiamare le arti alla perfezione con dottrine e precetti non fu mai vanto d’alcuno; d’uopo è che secoli interi di sperienze e vicende portino quasi per una certa necessità le salutari riforme; solo l’opporsi agli abusi può mantenere in atto il progresso, ed è questo il solo precetto e la dottrina che la critica deve e può propagare con lode. E di vero quello che la musica potè operare sulle forme poetiche più letterarie di Apostolo Zeno fu assai meschina cosa in paragone di quanto seppero trarre di partito i Vinci, gli Hasse, i Caldara e i Pergolesi dalla poesia di Metastasio meno per istile e per lingua forbita. Noi però ci faremo a riguardar più dappresso quest’idolo poetico, questo maraviglioso Metastasio, che diede al mondo una nuova poesia melodrammatica, che fu quella del cuore, degli affetti, dell’amore. Sopra qualunque oggetto egli si fermasse colla mente, qualunque fenomeno della natura che prendesse a considerare, egli ne usciva con sentimenti poetici di tanfa inspirazione e candore, pieni di cotanto affetto, e spiranti tanta passionata melanconia da commoverne al pianto ogni più duro cuore e restìo. Chi rassomigliasse le sue ariette a piccole sculture di greco scalpello lavorate per mano di ingegnosissimo artefice dell’antichità, non farebbe forse un paragone conveniente a tanta perfezione di fattura, a tanta spontaneità e scorrevolezza di vena, a tanta abbondanza di concetto, quanta Metastasio ne spiega in quelle sue strofe carissime. Hai tu il cuore oppresso dagli affanni? sei circondato dalle miserie della vita raminga? vien meco a piangere su quelle pagine preziose, noi troveremo un dolce ed invidiabile conforto.

Nè solamente sono da ammirarsi in Metastasio questi pregi, ma quelli della varietà di stile conveniente ai soggetti, della scienza della favola, della sodezza de’ filosofici sentimenti, dell’eloquenza, della brevità, della chiarezza e dell’ordine. Lungo sarebbe il recarne esempio, e per avventura non bisognano, trattandosi dell’autore più popolare che abbia la storia delle lettere nostre. Questo eletto ingegno non perdette mai di vista che egli scriveva per la musica ed a questo fine seppe soggettare le sue forme poetiche e grammaticali e si uniformò a quelle leggi indispensabilmente richieste dalla musica, ed a quei sacrifici che in lui appaiono naturali e spontanei, tanta è la maestria che egli usò nel trattarli. Or qui noi non ci cureremo di produrre il catalogo delle sue opere, nè tampoco di accennarne le più eccellenti, chè di poche ci sarebbe dato passarci in silenzio, e con poco fruito stancheremmo i lettori. Nè i suoi diffetti come tragico o drammatico annovereremo, nè quelli che la critica ha rilevato nel suo modo di trattare l'amore, o nelle forme letterarie meno eleganti, o in alcune espressioni scorrette e di eccessivo concetto; solo deploreremo che a quei dì la musica non fosse per anche giunta con tutto il valore de’ suoi mezzi a poter pretendere dalla sua superba compagna quel grado di perfetta egualità e sorellanza che avrebbe compito il perfezionamento del melodramma. Fino a tutta l’epoca di Metastasio possiamo affermare avere la poesia conservato sopra la musica una maggioranza nocevole ai progressi del melodramma; e chi esaminerà le opere di Metastasio, come chè belle per sè le ravvisi, non potrà però a meno di riconoscerle insufficienti a’ que’ maggiori effetti drammatico-musicali de’ quali siamo noi stati e siamo tuttavia spettatori all’età nostra. Or quale ispirazione potrebbono oggi dare a un compositore que’ concetti piuttosto poetici e filosofici che drammatici. di quelle strofe aggirate sopra una similitudine tolta per lo più da’ fenomeni naturali, felicemente concetta e trattata se a parte la consideri, freddamente immaginata e descritta se l’applichi alla musica in tutte le sue qualità drammatiche e nella forza de’ suoi mezzi completi? Nè di questo si deve far carico a quel sommo poeta, ma alla sorte dei tempi, alla condizione contemporanea dell’arte. A quei dì la musica non peranco avea incominciato ad allargarsi concertando l’insieme di molte parti distinte intese tutte a un sol soggetto di scena; i quali titoli potevano acquistarle un diritto di pretendere dalla poesia alcuna ulteriore modificazione di forme a lei più convenienti. Aggiungi che a’ que’ di il dramma stesso non si conosceva nelle sue qualità di scenico effetto, nel prestigio di certi trovati meravigliosi che eccitano e danno anima a tutta l’azione. Cbi non vede perciò che alla musica d allora perfettamente conveniva quella poesia? e chi non ravvisa d’altra parte che la musica aumentata di mezzi e migliorata di forme sdegnerebbe eziandio l’eccellente poesia metastasiana? Però i maestri che resero in musica i drammi di questo poeta operarono quel meglio che poterono dal loro ingegno ottenere e dalla condizione dell’arte d’allora,- e Metastasio scrivendo per la musica di quel tempo tenne quel modo che non gli avrebbe conteso di seguire se non un ulteriore avanzamento della musica per sua opera incominciato, ma non per anche compiuto.

Questi vantaggi e progressi ulteriori del melodramma doveano essere affidati a’ poeti che seguirono Metastasio e che vennero dietro a lui imitandolo; ma a ciò erano richiesti ingegni elevati e potenti da poter mantenere la poesia a livello della musica che già procedeva avanzandosi mirabilmente.