Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1843.djvu/14

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tore un motivo ben trovato, onde, calando subito dopo la tela, non mancasse la tanto ambita chiamata sul proscenio? E che quella doppia, anzi tripla ripetizione del medesimo passo sia al tutto incongruente, appare tosto a chi rifletta ch’esso passo è replicato per la terza volta all’unisono, con rinforzo d’orchestra, da due personaggi invasi da alletti opposti al tutto: adunque o per l’uno o per l’altro di quei due personaggi quel motivo sì caratteristico, anziché conveniente, riesce appropriato a rovescio, e quindi assurdo. - Ma un tal quale effetto teatrale non manca... E in oltre lo spettatore è affascinato dal tutt’insieme delle impressioni incalzanti, affastellate non ha tempo di occuparsi della verità drammatica e della finezza psicologica! E rapito in estasi, e batte le mani a gran romore! Ciò basta.

Ma non più delia musica. Alcune parole dell’esecuzione. La signora Frezzolini-Poggi è senza forse la più valente tra le cantanti drammatiche, apparse sulle nostre scene dacché la Pasta e la Malibran cessarono di illustrarle colla potenza del loro ingegno e della loro arte. In lei forza di sentire temperata dalla riflessione, in lei ricchezza di mezzi vocali, felice organizzazione e intelligenza musicale, perizia di scena, buone ed elette maniere drammatiche, eleganza di forme teatrali. Abbiamo date troppe prove di essere poco complimentosi, e forse troppo schietti coi virtuosi che ingombrano attualmente il teatro lirico italiano, perché possa cader dubbio che queste nostre parole di lode in genere sul conto della signora Frezzolini sieno dettate dal menomo spirito di parzialità. Nella attuale povertà di vere illustrazioni artistiche crediamo giusto e necessario aggrapparci, come ad unica àncora di salvezza, alle poche che pur addimostrano di potere e di voler bastare a modello della turba delle mediocrità. L’appalto della Scala ha diritto a farsi perdonar qualche torto, non foss’altro per averci procurata questa distintissima cantante e con lei la brava e zelante e tanto applaudita De Giuli.

Ma in proposito della signora Frezzolini, particolarmente osservata nella parte di Lucrezia, aggiugniamo che con molta finezza di sentire e scenica perizia ella ha compresa la natura in parte paradossale, ma pure vigorosamente drammatica di questo tipo della feminile corruzione redenta dall’entusiasmo dell’amor materno, quale uscì primamente dalla sbrigliata fantasia dell’autore di Nôtre-Dame, per informarsi poscia in più giusta misura sotto la gastigata penna del poeta italiano.

Ma ci si permettano alcuni rilievi. Forse la signora Frezzolini, ubbediente in ciò alle istintive sue ispirazioni, trovasi molto più a suo agio e riesce quindi d’assai meglio nell’espressione dei più generosi alletti ond’è agitala Lucrezia, quelli di madre, che non nella significazione più difficile, perché meno conforme al bello morale, dei sentimenti di moglie sdegnata e fremente, di duchessa insultata e bramosa di vendetta.

Nella scena del primo atto con Alfonso, ove questo freddo e tirannico suo consorte la vuole ad ogni costo serva e complice al suo iniquo attentato, la giovine artista non è tanto valente a pingere negli atti e nel vigore conciso e vibrato degli accenti l’ira e il ribrezzo della infame proposta, e l’arcana lotta che si agita nel suo cuore, quanto appare davvero passionata e palpitante alloraché, allontanato il Duca, tutta si abbandona alla foga de’ sovverchianti affetti di madre, e alla brama di salvar da morte lini prudenti! che osò far insulto al temuto nome de’ Borgia.

Un altro esempio: nell’ultimo atto, al suo presentarsi nella infame sala del banchetto della Negroni, la signora Frezzolini non sa di certo simulare con arte maestra la superba e violenta natura della donna potente che, con sogghigno feroce sulle labbra, si reca ad esultare dell’indubitato esterminio de’ suoi nemici... Un non so che di esitante, d’incerto, di fiacco si osserva in que’ suoi moti del volto, in que’ suoi gesti, in que’ suoi intercalari poco vibrati e decisi... Ma poi tosto che ode essere tra gli avvelenati anche il figlio suo diletto, quanto non è evidente e lodevole il cambiamento che si opera in tutti i suoi modi di esprimere i violenti ma nobili affetti che la agitano! Quanto non è passionato e penetrante ogni menomo accento del suo canto, cui è rado che venga meno la finezza e la gastigatezza del gusto! Che se ella manca della forza necessaria alla prima e più difficile delle due or accennate interpretazioni, è forse a dirsi a sua scusa che il medesimo compositore venne meno in parte nella pittura del carattere della Borgia, preso dal suo punto di vista odioso; e questo perché probabilmente la natura tutta italiana di lui ribellavasi alla profonda e evidente manifestazione di una morale deformità troppo eccentrica. Non possiamo però a meno di venir qui osservando che i sommi poeti ed artisti sanno far forza alla loro indole naturale, e che Gluck e Mozart, al pari di Dante e di Shakspeare, di Corneille e di Alfieri valsero a tratteggiare con eguale vigore e finezza di pennello i tipi i più neri e le più angeliche immagini.

Come semplice cantante, (e sotto questo punto di vista la comune degli spettatori suol riguardare i nostri artisti, poco curandosi della più o meno fina ed elevata loro arte drammatica) la signora Frezzolini merita non pochi encomii; le migliori eleganze cromatiche, le notazioni più difficili per altezza di tessitura, le sfumature di voce, i passaggi più spontanei dall’uno all’altro registro a lei riescono poco meno che famigliari, e in lei danno diletto e aiutano alla più marcata espressione perché non le costano troppo sforzo. Solo ne piacerebbe che taluna volta ella tenesse meglio inbrigliata la voce, né lasciasse troppo libero il freno a certi impeti di note acutissime lanciati forse con una foga che guai se è abusata! Vorremmo anche consigliarla a far il possibile di meglio nascondere certi atti affannosi coi quali ella adopera a riprender fiato, ecc. Sono lievi vizii e meri difetti di artifizio tecnico, ma

gli artisti della sua portata debbono o tosto o tardi trovar modo a liberarsene. (Degli altri cantanti, principali attori più o meno largamente encomiati in quest'Opera, diremo alcune cose nel prossimo foglio).

B.




CRITICA MUSICALE

Di un libro intitolato: Lezioni d'Armonia scritte da Domenico Quadri vicentino, per facilitare lo studio del Contrappunto. Terza edizione. Roma dai tipi di Angelo Ajani. 1841.

Continuazione. V. il foglio N. 52 dell’annata decorsa


Nelle sei lezioni che tengon dietro alla quarta, il signor Quadri espone la teoria degli accordi e dell’armonia propriamente detta.

Cominciando a leggere, io trovo questa definizione dell’armonia: «La parola Armonia applicata alla Musica, altro non significa che: Unione simultanea di più suoni con certa legge combinati fra loro».

Già l’autore, senz’avvedersene, volendo definire l’armonia, ha definito l’accordo. E in vero, niuno mi negherà che la semplice unione simultanea di più suoni non può costituire che un accordo, ossia un elemento dell’armonia, non già l’armonia medesima; la quale, secondo l’accezione generale, risulta da una successione di accordi. Mi si opporrà che la parola armonia si prende talvolta per sinonimo di accordo. In buon’ora. Ma qui l’autore ha voluto definire veramente l’armonia, perciocché indi a poco dà anche la definizione dell’accordo. La quale, poiché siamo in materia, sia messa subito in disamina. «Accordo», dice il Quadri «significa Progressione di terze, sentite dall’udito nello stesso tempo. Poi seguita a dire: «dunque una sola terza non è accordo, ma soltanto intervallo; dunque ogni progressione di terze contemporanee può passare sotto il nome generale di accordo.»

Ed io soggiungo: dunque mi-sol-do, sol-do-mi, si-re-fa-sol ecc., non sono accordi; dunque una progressione di cinque o sei terze contemporanee è un accordo (1). Per conseguenza logica bisogna venirne assolutamente a questa conclusione. E tanto più che quella storta definizione non è un semplice lapsus calami dell’autore: giacché più sotto egli dice: «Per avere un accordo sono dunque necessarie tre condizioni, cioè: 1.° Almeno due terze di seguito; 2.° Tre suoni; 3.°I numeri 1, 3, 5» e più tardi: «progressione di terze, vera caratteristica di ogni accordo»; e infine: «più deve (l’Accordo) conservarne la forma esteriore, cioè la progressione delle terze, ed i numeri 1, 3, 5, ecc.» E per conclusione paragona i detti numeri alla Base, al Fusto e al Capitello di una colonna. State a vedere l’ordine che avranno queste tre parti della colonna, dove questa sia paragonata con gli accordi rivoltati!

Tornando a quel punto onde mi sono discosto, l’autore, per anticipare sull’origine dell’accordo, propone l’osservazione di un fenomeno fornito, secondo lui, dall’Arpa; la quale, accordata tutto all’unisono, o all’ottava di una nota qualunque, come sarebbe un do, ed esposta al vento vibrerà nelle sue corde, e farà conoscere che invece dell’unisono, la risonanza di tutte quelle corde percosse in massa, tramanda all’udito diverse armonie, delle quali la seguente (do-mi-sol-do) presenta minori differenze. Quindi, escluso il do 8a siccome replica della nota fondamentale, egli deduce la definizione dell’accordo riportato di sopra; la quale, sebbene erronea, è tuttavia in qualche maniera ben dedotta.

Contuttociò io osservo in primo luogo che in vece dell’ arpa, bisogna intendere l' arpa eolia, così detta, perciocché nell’arpa comune, non potendosi ella accordare tutta all’unisono, od all’ottava, il fenomeno non può aver luogo. Il detto fenomeno poi non si limita a far sentire i soli suoni do-mi-sol; bensì si estende al si bemolle, al re e ad altre

  1. Una progressione di cinque o sei terze può essere un accordo, secondo il sistema di Albrechtsberger, P.e Vallotti, di Asioli ecc., ma non secondo quello del Quadri, che ò un imperfetto simulacro di quello del Reicha