Pagina:Giannone, Pietro – Del regno celeste, 1940 – BEIC 1830525.djvu/30

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CAPITOLO II Dell’errore nel quale furono i gentili e gli ebrei perché ignoravano la natura di questo regno. Essendo dunque di tal natura questo regno e posto fra gli orbi celesti, di cui però non può designarsi luogo determinato e certo, a torto fu calunniato Gesú Nazareno che aspirasse ad un regno terreno, ed a torto ne fu perciò dagli ebrei riputato stolto, sicché, deridendolo e facendone miseri e brutti scherni, lo coronarono per ludibrio di una corona di spine, ed invece di scettro gli posero fra le mani una canna, e di clamide una veste di porpora. Egli non intendeva di regno alcuno materiale e terreno, ma spirituale e celeste. Non meno gli ebrei che i gentili ridevansi di questo regno celeste, prendevano a beffa questo modo misterioso di parlare, e tutti attoniti dicevano: «Quidnam est hoc, quaenam doctrina haec nova?». E san Paolo perciò ne fu anche riputato pazzo. Gli ebrei, come si è veduto nel precedente libro, non aveano altra idea che di regno materiale, e credevano il Messia promesso non dover esser altro che un nuovo profeta come Mosè, ovvero un nuovo Giosuè od un Giuda Maccabeo che avesse dovuto liberargli dalla servitú nella quale furono sotto il re di Babilonia o sotto il re di Persia e nel regno di Alessandro Magno, sotto i greci e finalmente sotto i romani che aveano ridotta la Giudea in provincia, e spezialmente sotto il presidato di Ponzio Pilato che aveva tolto al sinedrio il «ius gladii» ed ogni imperio: il qual Messia, come loro liberatore, dovesse ristabilire il regno di Gerusalemme sopra