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Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano II.djvu/201

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dell'impero romano cap. xiv. 195

un vano rumore della morte di Costantino. Senza esitazione egli montò sul trono, s’impadronì del tesoro, e spargendolo coll’usata sua profusione tra i sudditi, procurò di risvegliare nelle loro menti la memoria del suo antico splendore e delle antiche sue imprese. Prima ch’egli potesse assodar la sua autorità, o terminare il trattato, cui sembra ch’egli avesse cominciato col suo figliuolo Massenzio, la celerità di Costantino abbattè tutte le sue speranze. Al primo avviso della perfidia e dell’ingratitudine di lui, ritornò quel Principe con rapida marcia dal Reno alle rive della Saona, s’imbarcò su questo ultimo fiume a Chalons; ed a Lione affidandosi alla rapidità del Rodano, arrivò alle porte di Arles con una forza militare, a cui era impossibile per Massimiano il resistere, e che appena gli permise di ripararsi nella vicina città di Marsiglia. L’angusta lingua di terra, che univa quella piazza al continente, era fortificata contro gli assedianti, mentre il mare era aperto o alla fuga di Massimiano, o ai soccorsi di Massenzio, se voleva quest’ultimo coprire una sua invasione nella Gallia col decoroso pretesto di difendere un angustiato, o come avrebbe potuto allegare, un offeso genitore. Temendo le funeste conseguenze di un indugio, Costantino dette ordini per un immediato assalto, ma si trovarono le scale troppo corte per l’altezza delle mura, e Marsiglia avrebbe potuto sostenere un lungo assedio, come anticamente fece contro le armi di Cesare, se la guarnigione, conoscendo il suo fallo o il suo pericolo, non avesse comprato il perdono colla consegna della città e della persona di Massimiano. Fu contro l’usurpatore pronunziata una secreta ma irrevocabil sentenza di morte; egli ottenne solamente lo stesso favore, che fu accordato a Severo,