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Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VIII.djvu/330

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326 storia della decadenza

traevano le nazioni alla Capitale del mondo: ma se il caso e la necessità volgeva ivi i passi di un errante straniero, con orrore egli contemplava il vuoto e la solitudine della città, e poteva indursi a chiedere. „Dov’è il Senato, e dov’è il Popolo?„ In una stagione di eccessive pioggie, il Tebro straripò, e con irresistibil violenza si sparse per le valli de’ Sette Colli. Nacque una malattia pestilenziale dall’allagamento stagnante dell’acque, e così rapido fu il contagio, che ottanta persone morirono in un’ora nel mezzo di una solenne processione, che si faceva per implorare la divina mercede1. Una società, nella quale il matrimonio viene incoraggiato e l’industria fiorisce, ben tosto ripara le accidentali perdite della peste e della guerra; ma siccome la massima parte de’ Romani era condannata ad un’indigenza senza speranza ed al celibato, così la spopolazione era continua e visibile, ed i cupi entusiasti potevano aspettare la vicina fine del mondo. Nulladimeno il numero de’ cittadini tuttora superava2 la misura de’ viveri: il precario lor nutrimento veniva somministrato dalle messi della Sicilia o dall’E-

  1. Un Diacono che da San Gregorio di Tours venne spedito a Roma, per procurarsi reliquie, fa una descrizione dell’inondazione e della peste. Lo spiritoso deputato abbellisce il suo racconto coll’arricchire il fiume d’un gran drago accompagnato da una coorte di piccole serpi (S. Greg. di Tours, l. X c. 1).
  2. San Gregorio di Roma (Dialog. l. II c. 15) riferisce una predizione memorabile di San Benedetto. Roma a gentilibus non exterminabitur, sed tempestatibus, coruscis turbinibus ac terrae motu in semeptisa marcescet. Questa profezia, col testificare il fatto per cui e con cui è stata inventata, rientra nel dominio della Storia.