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122 del rinnovamento civile d'italia


di caritá e di sacrifizio, e vuolsi che i ricchi sieno larghi di compassione e di soccorso agl’infelici. Ma se tale è il debito dei privati, come non sará quello del pubblico? se la caritá stringe i cittadini, come non obbliga i governanti? se i particolari debbono esser teneri della plebe, come può stare che i principali non debbano averne cura? e tanto maggiore, quanto piú alto è il loro grado e piú copiosi i mezzi che hanno per sovvenirla. Ora questa amorosa e operosa sollecitudine trapassata da chi ubbidisce in chi regge, che cos’è se non riforma economica, giustizia civile, patrocinio governativo? Strano mi parrebbe che dove la cittadinanza è cristiana, il governo fosse paganico. E il nostro politico lo fa peggio che pagano1, poiché vuole una caritá e una fede avvalorate dalle sciabole e dai cannoni. La caritá privata è un debito sacrosanto, ma sola non basta a medicar le piaghe del secolo. Qui ritorna in acconcio la forma di argomentare usata di sopra. Da diciotto secoli la religione predica ai ricchi la misericordia sotto pena di un supplizio ineffabile ai trasgressori. Ora se a malgrado di ammonizioni cosí autorevoli e di minacce cosí terribili la piú parte di quelli fu dura e spietata quando credeva, sará oggi pietosa che piú non crede? e che professando le massime di Epicuro, ripone il suo inferno e il suo paradiso nei mali e nei beni della vita terrestre?

Se la religione cattolica fosse nella pratica ritirata al suo vero essere e purgata da ogni sentore di gesuitico farisaismo, sarebbe certamente un farmaco efficace ai mali della civil comunanza. Ma in che modo? Principalmente col promuovere nel pubblico quelle savie riforme che si combattono a nome suo; le quali, da lei protette, la chiarirebbero accordante all’idea divina che l’informa. Laddove passando in silenzio l’obbligo

  1. Fra le strane asserzioni di Donoso Cortes nel prefato discorso havvi anche questa: che «il popolo greco e il romano antico non furono inciviliti ma culti». Giuoco di parole tolto di peso dal Bonald e arguente una compiuta ignoranza dell’antichitá gentilesca. Havvi piú di civiltá vera in parecchi ordini antichi, come l’areopago di Atene e la censura romana, e in alcuni personaggi, come Aristide, Socrate, Epaminonda, Demostene, Cesare, nei due Antonini, che in cinquanta instituzioni e in cento uomini grandi dell’etá moderna.